giovedì 22 marzo 2007

RIFLESSIONI SUI PROFUGHI SUDANESI IN ISRAELE








L'INSEGNAMENTO DI NAHUM GOLDMAN E IL DARFUR
di Federico Steinhaus




Il Corriere della Sera di lunedì 19 marzo ha dedicato una intera pagina ad un aspetto sconosciuto della tragedia che da anni sconvolge il Darfur nella totale paralisi ed incapacità di agire di tutto il mondo cosiddetto civile e democratico. E' vero, noi stessi non amiamo leggere le sconvolgenti notizie che ci giungono da quella terra infelice e sempre raccontano di massacri. Forse i nostri governi non sono altro che lo specchio della nostra stessa indifferenza od impermeabilità alle sofferenze di popoli lontani; forse il nostro disagio quando voltiamo la pagina del giornale per cercare notizie meno opprimenti – vallettopoli o sport poco importa – viene tacitamente recepito da chi ci governa e che, come noi del resto, non ama il senso di frustrazione che scaturisce da uno scenario umanitario in cui noi siamo semplici spettatori e quasi mai i protagonisti di audaci gesti di generosità e solidarietà. Forse. E' facile moralismo? E' un modo per liberarsi dai sensi di colpa? Esiste, ora, chi ci dice che non è così, chi afferma con orgoglio che si può e dunque si deve fare qualcosa per opporsi alle stragi ed alla malvagità.Poco più di 300 persone hanno scelto di fuggire dal Darfur, di sfuggire alle feroci stragi che insanguinano il loro popolo; più semplicemente hanno scelto di voler sopravvivere. Hanno percorso il Sudan, poi l'Egitto, infine la penisola del Sinai, per attraversare finalmente la frontiera di quello che essi hanno percepito come l'unico possibile luogo di salvezza: Israele. Quella infatti è l'unica democrazia dello scacchiere afro-asiatico che si estende tra il Sudan ed il Mediterraneo, l'unica nazione in cui la libertà viene garantita indistintamente a tutti, l'unico popolo di quello scacchiere che dia un valore supremo alla vita, non alla morte. E' vero, sono stati arrestati: erano immigrati clandestini provenienti da uno stato nemico. Ma ora la coscienza nazionale si interroga sul loro destino. Sono trecento non-ebrei (200 musulmani e 100 cristiani) che hanno chiesto ad Israele un aiuto per vivere. A questo punto negli israeliani sono scattate due molle potenti e laceranti: la morale religiosa ebraica e, forse con ancora maggiore vigore, il ricordo doloroso delle porte che si chiudevano sessant'anni fa dinanzi agli ebrei in fuga dal nazismo – porte chiuse che li consegnavano al loro destino: le camere a gas. Le porte chiuse di nazioni civilissime come la Svizzera, gli Stati Uniti, e quante altre, che al contrario della fascista Spagna hanno rifiutato l'asilo ai perseguitati. Credo che sia scattata anche una ulteriore molla, forse inconsapevole o meno visibile delle altre due: quella che, come migliaia di ebrei hanno potuto sperimentare, anche un solo "Giusto" può trovare in sé il coraggio e la forza morale per opporsi, per dire no al tiranno, per salvare una vita. Il Corriere ha pubblicato alcune frasi che riassumevano questi concetti, pronunciate da ebrei ed israeliani famosi e stimati, uno per tutti la voce per antonomasia dei perseguitati, Elie Wiesel. A queste voci, con una breve nota autobiografica, ne voglio aggiungere una che pochissimi oramai ricordano, ma che vale a mio parere più di queste perché erano molto diverse le circostanze ed i ruoli. Negli anni settanta ho avuto il privilegio di vivere alcuni anni di una esperienza, credo, unica ed insostituibile: gli ultimi anni in cui è stato presidente del Congresso Mondiale Ebraico – il parlamento del popolo ebraico, senza poteri reali ma autorevole in virtù della forza morale che da esso emanava – quel leggendario Nahum Goldmann che lo aveva fondato nel 1936 , e ne era segretario quel Gerhard Riegner che per primo, nel 1942, era stato avvertito dell'incombere della Shoah. Goldmann, che amava sottolineare con storielle raccontate in yiddish i suoi ragionamenti politici che lo portavano da pari a pari al cospetto di tutti i Grandi del pianeta, usava ripetere senza stancarsi che gli ebrei, se vogliono avere il rispetto delle nazioni e se vogliono potersi appellare agli altri per chiedere solidarietà ed aiuto dinanzi a persecuzioni che (in particolare nei territori sovietici) colpivano i loro fratelli, devono anche offrire la loro solidarietà ed il loro aiuto a tutti gli altri perseguitati. Spesso Goldmann faceva riferimento al dramma dell'apartheid sudafricano, ma la valenza di questo concetto etico era universale. In Israele, ora, questa massima di Goldmann viene applicata a beneficio dei profughi sudanesi, che sono stati accolti in alcuni kibbutzim . Loro sono fuggiti dinanzi alla ferocia di quelli che sono gli stessi nemici di Israele, ed è in Israele che hanno trovato salvezza. Questo avviene nel momento stesso in cui un nuovo (o vecchio ridipinto) governo palestinese rifiuta di riconoscere il diritto di Israele ad esistere, nel momento stesso in cui terroristi mandati da Hamas tentano di infiltrarsi in Israele con le loro cinture esplosive, nel momento stesso in cui già vi sono esponenti politici che vorrebbero accontentarsi delle ambigue parole di Haniyeh pur di poter nuovamente accusare Israele di essere troppo intransigente e causa prima delle disgrazie dei palestinesi.



Fonte: Informazione Corretta
21 Marzo 2007

sabato 17 marzo 2007

Affinchè il Congo non imiti i cattivi esempi

Qui di seguito riproduciamo integralmente un articolo pubblicato sul Corriere delle Sera due giorni orsono. Sarà senz'altro utile per offrire spunti di riflessione ai nostri amici che vivono e lavorano in Congo da tanti anni!


Il Ghana «libero» compie 50 anni
E spreca tutti i fondi per festeggiare

di Niall Ferguson
Vi siete mai sentiti presi in giro? L'anno scorso l'Agenzia statunitense per lo svilup­po internazionale (USAID) ha elargito aiu­ti alimentari al Ghana per un totale di 22,5 milioni di dollari.

Lunedì scorso questo stesso Paese ha dato il via alle celebrazioni, che secondo i programmi si articoleranno su dodici me­si, per commemorare l'indipendenza dal colonialismo britannico, concessa cinquant'anni fa, il 5 marzo del 1957. La spesa prevista per i festeggiamenti, iniziati con un party durato tutta la notte ad Accra, si aggira intorno ai 20 milioni di dollari.

E lecito chiedersi se questo è un modo ragionevole di spendere 20 milioni di dolla­ri quando il cittadino medio del Ghana guadagna circa 1,33 dollari al giorno. È leci­to chiedersi inoltre che cosa mai avrà da festeggiare il Ghana do­po cinquantanni di «li­bertà».

Non ci illudiamo che la Costa d'oro, com'era conosciuto il Paese pri­ma dell'indipendenza, fosse anticamente una fiorente economia. Il cit­tadino britannico me­dio guadagnava 39 vol­te di più dell'abitante medio della colonia. D'altro canto, la Costa d'Oro era considerata uno dei territori più svi­luppati tra le colonie britanniche in Africa, e per questo motivo fu la prima ad ottenere l'indi­pendenza.

Eppure le conseguen­ze economiche dell'indi­pendenza hanno smen­tito la vecchia accusa della sinistra, cioè che la Gran Bretagna aves­se «sfruttato» le sue co­lonie. Dal 1960 ad oggi, il divario tra la Gran Bretagna e il Ghana è più che raddoppiato: il cittadino britannico me­dio guadagna 92 volte di più del cittadino me­dio del Ghana. Oggi, secondo la Banca Mondiale, gli aiuti umanitari ammontano al 16 percento del prodotto interno lordo del Ghana e coprono addirittura il 73 per­cento della spesa pubblica.

Che cosa non ha funzionato? La rispo­sta è grosso modo la stessa che si darebbe per qualsiasi Paese dell'Africa sub-saharia­na dal 1957 a oggi. Kwame Nkrumah, che portò il Ghana all'indipendenza, era per molti aspetti il politico tipico della prima generazione di leader africani post-coloniali. Educato presso una scuola di missio-nari cattolici e poi in un'università americana (fu respinto dalla University of London per voti insufficienti in matematica e latino), Nkrumah era del tutto incapace di distinguere tra i pregi e i difetti dell'ammi­nistrazione britannica.

Benché piuttosto parsimonioso quando si trattava di istruzione e salute pubblica, l'Ufficio coloniale almeno forniva le basi per la stabilità economica e politica: bilan­ci pareggiati, sviluppo commerciale, una moneta forte, legalità e un apparato stata­le esente dalla corruzione. Nkrumah non ci mise molto a buttare all'aria tutte queste cose.

Se guardate le foto ufficiali della conse­gna del potere nel 1957, la Duchessa del Kent ha un'aria affranta, e il Governatore, Sir Charles Arden-Clarke, una smorfia di scetticismo. La storia purtroppo ha confer­mato quei lontani presentimenti.

Appena salito al potere, Nkrumah moltiplicò per dieci la spesa pubblica e per cin­que l'apparato statale. Era il caso classico di sistemare gli amici, poiché i membri del partito di Nkrumah, il Convention Peoples' Party, si erano assicurati l'equivalente poli­tico di una vincita al lotto. «Il governo è in mano ai furfanti», si lamentò un funziona­rio britannico nel fare le valigie. Troppo tar­di. Il Ghana non perse tempo a diventare il primo esempio della democrazia africana in azione: un voto per ogni cittadino... una sola volta!

Il governo finì inoltre nelle mani dei cre­duloni. Da molto tempo iscritto al partito comunista, Nkrumah venne facilmente per­suaso dal KGB che la CIA complottava contro di lui e accolse subito le offerte di aiuto che venivano da Mosca. Queste si concretizzarono nell'addestramento forni­to dal KGB alle forze di sicurezza naziona­li, con una rete immensa di informatori pa­gati e oltre un migliaio di «consiglieri» rus­si. All'inizio degli anni Sessanta, le donne del Ghana scendevano in piazza agitando cartelli con su scritto: «RIDATECI GLI IN­GLESI».

E invece toccò all'esercito ghanese rove­sciare Nkrumah nel 1966 (mentre era in vi­sita a Ho Chi Minh ad Hanoi). Lungi dal migliorare la situazione, fu solo il primo di una serie di colpi di Stato, culminati con la sanguinosa presa di potere di Jerry Rawlings, capitano dell'aeronautica, nel 1981. Anche se Rawlings riportò formalmente la democrazia in Ghana nel 1992, ri­mase al potere fino al 2000, quando il suo partito, il National Democratic Congress, fu sconfitto nelle prime elezioni libere del paese.

Oggi ancora molti pensano che tutti i problemi dell'Africa siano un retaggio colo­niale, la colpa degli inglesi cattivi. Queste stesse persone restano aggrappate al­l'idea che tale retaggio si potrà cancellare solo dietro risarcimento, sottoforma di «aiuti umanitari». A di­stanza di cinquant'an­ni, la situazione appare più chiara. Praticamen­te in tutti i casi (unica eccezione il Botswana), le condizioni economi-che delle ex colonie bri­tanniche nell'Africa sub-sahariana sono peg­giorate di molto dopo l'indipendenza rispetto al periodo coloniale. Praticamente in tutti i casi, come ha fatto nota­re William Easterly, del­la New York University, il contributo di miliardi di dollari in aiuti umanitari da parte dell'Occidente non è riuscito a stimolare il tasso di cre­scita economica in que­sti Paesi.

Nel suo libro in corso di stampa, The Bottom Billion, Paul Collier, eco­nomista di Oxford, inda­ga perspicacemente le vere cause del fallimen­to del post-coloniali-smo africano. Identifica quattro trabocchetti in cui sono caduti, dagli anni Cinquanta a oggi, quasi tutti i Paesi sub-sahariani. Alcuni so­no intrappolati dalla loro dipendenza dal­le risorse naturali, come diamanti o petro­lio; altri sono bloccati dalla mancanza di accesso al mare; altri da interminabili guerre civili. Ma il quarto ostacolo riguar­da il Ghana in particolare: un governo incapace. Per illustrare la follia di concedere aiuti a Paesi guidati da governi corrotti, Collier cita una recente indagine che ha seguito le tracce dei fondi concessi dal Mini­stro del Tesoro del Ciad per costruire ospe­dali nelle zone rurali: solo l'1 percento è giunto a destinazione, il resto è stato scremato da una sfilza di funzionari corrotti. Perdonatemi perciò se non me la sento di unirmi ai ghanesi nel loro anno intero di fe­steggiamenti. Non vedo che senso abbia celebrare l'indipendenza, se è un mero eufemismo per dipendenza dagli aiuti umanitari.

• da Corriere della Sera del 15 marzo 2007, pag. 19

© Niall Ferguson, 2007Traduzione di Rita Baldassarre

martedì 13 marzo 2007

cerchiamo un pezzo per l'officina


da un lettera del capo officina, di qualche tempo fa, prendo il disegno elementare opera di un qualche studente della scuola (anche se con un errore!).
Syausua-Deo, capo dell'offcina meccanica, un grande uomo, un fraterno amico ed anche mio ex allievo sta cercando la camicia di un cilindro Land Cruiser, una veicolo giapponese.
Se ci fosse qualcuno in grado di aiutarlo potrebbe prendere contatto con la Missione, anche semplicemente attraverso questo blog. E' un po' il motivo per cui lo abbiamo aperto e cerchiamo di usarlo. In blog sarebbe, come scrivevo poco tempo fa, una bella e pratica bacheca per affiggere annunci di ogni genere.
Chissà mai che qualcuno degli sconosciuti lettori possa davvero darci una mano?
Padre Silvano direbbe: ecco la Divina Provvidenza.

giovedì 8 marzo 2007

una lettera di otto anni fa!


Carissimo don Enzo,

il 25 marzo scorso hai festeggiato i tuoi 50 anni di sacerdozio. Certamente le cose a te più care te le avrà dette Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo, suo Figlio, nell’amore dello Spirito Santo.
Dall’infanzia lui ti parla e ti dice «cose» bellissime che, ora dopo cinquant’anni di celebrazione eucaristica, di adorazione di Gesù Ostia e di ministero a servizio dei fratelli, ti entrano nel cuore come un vento dolcissimo.
Ti hanno circondato parenti, amici e confratelli, che con te hanno lodato Dio Padre per le sue meraviglie.
Permetti che a questa festa (anche se in ritardo) ci uniamo anche noi: missionari, cristiani e abitanti tutti di Nduye e Mambasa. Hai speso 6 anni del tuo sacerdozio con noi.
Hai insegnato le scienze esatte ai nostri alunni.
Tu sai quanto bisogno ci fosse di una presenza come la tua, perché «Mavuno» prima e l' IBL dopo potessero svolgere degnamente il loro compito. E tu ti sei sacrificato con slancio, rispondendo generosamente all’appello di Gesù. Non è facile per noi italiani vivere in mezzo alla foresta,dove le strade sono acquitrini, dove ci si trova senza telefono, senza posta, senza strutture sanitarie attrezzate, e per il cibo bisogna accontentarsi ed avere uno stomaco resistente. Tu hai accettato tutti questi disagi con un po’ di apprensione, ma fiducioso. E tutto finì bene.
Ti vediamo ancora puntualissimo davanti alla porta dell’aula, in attesa di entrare in classe. Negli intervalli gli alunni ti circondavano per chiedere chiarimenti, certo, ma soprattutto per stare con te. Per loro eri un modello, un amico. Sapevano che li amavi.
Non hai avuto modo di apprendere il kiswahili, per cui non potevi svolgere un intenso lavoro ministeriale. Ma eri sempre pronto a celebrare l’Eucarestia al centro di Mambasa, permettendo così ad un altro missionario di celebrare nei villaggi lontani. Al mattino eri sempre con noi alla celebrazione eucaristica e alla sera per l’adorazione. Immancabilmente alle 12 entravi in chiesa per pregare a lungo da solo.
Questo tuo pregare ci ha indicato la persona di Gesù. Sei stato un vero missionario tra di noi : non tanto con le parole, ma con il tuo vivere ci hai annunciato Gesu.
Il tuo amore per noi lo si è visto dalla tua disponibilità ad accoglierci, ad ascoltarci, ad aiutarci, e dal tuo modo di guardare a lungo i numerosissimi bambini che giocavano nel cortile della missione.
Ci hai lasciato con tanta nostalgia, quando le forze fisiche non erano più sufficienti per il lavoro missionario. Ma, tornato in Italia, ci sei rimasto vicino. Noi abbiamo avvertito l’aiuto delle tue preghiere, specialmente nei momenti difficili delle recenti guerre civili.
Eri felicissimo di ricevere notizie da Nduye e Mambasa. E quante volte ci siamo commossi nel ricevere il tuo aiuto.
Per tutto questo, carissimo don Enzo, permetti di unirci a te nel ringraziare il Signore per questi 50 anni di sacerdozio. Permettici anche di dirti «grazie» per il grande bene che ci hai fatto. La ricompensa te la darà Colui per il quale vivi. Noi ti diciamo solo che ti vogliamo bene.

P. Silvano, P. Nerio e P. Gianni

da “Una sola Famiglia”, n. 89, luglio 1999

mercoledì 7 marzo 2007

basta un link !


cari amici del blog di Mambasa,

quest'oggi ho pensato di mettere soltanto un link. Se vi clikkate sopra sarete collegati con il sito ufficiale della Congregazione dei Sacerdoti del S. Cuore (Dehoniani).

Qui con una guida in cinque lingue potrete sapere tutto sulle loro attività, attingere ai documenti, avere una biblioteca on-line, disporre di un notiziario ed anche di tante immagini.

Noi ci ripromettiamo di "saccheggiarlo" prossimamente per fare in modo che i nostri utenti trovino con facilità, nella pagina che aprono, tutto quello che fa parte del discorso avviato con questo piccolo strumento informatico.
Nei fatti questa è la "bacheca" della missione di Mambasa.
Nella foto sopra, a destra: la missione dei dehoniani a Bahia, in Ecuador

martedì 6 marzo 2007

E' GIUNTO OGGI


Come sempre puntuale, da Genova, dalla Casa del Missionario, è giunto qui a casa mia il giornale: L'Amico delle Missioni.

A Genova, in via Gambaro , 11 c'è un centro organizzativo ed operativo che si occupa del sostegno sostenere le iniziative delle Missioni affidate alla Provincia Italiana dei Sacerdoti del S. Cuore di Gesù, in Argentina, Uruguay, Portogallo, Camerun, Congo, Mozambico, Filippine ed India.

Prossimamente parleremo dei Dehoniani: intanto diamo un'occhiata dove questi sacerdoti missionari sono presenti nel mondo (zone in rosso della figura).
Chiudiamo con una breve riflessione scritta dal fondatore, p. Dehon, poco prima di morire:"La missione è stata l'opera più importante della congregazione, fra tutte le nostre opere di apostolato".

lunedì 5 marzo 2007

Polli, conigli e vacche


"Arriverà Giuseppe Prosdocimi (martedì) assieme a due veterinari di Schio per la formazione all'allevamento di polli e conigli e per consigli a noi allevatori di vacche (ne ho 42)."

Questa la mail che mi ha mandato padre Silvano un paio di giorni fa.

Il blog serve a condividere le notizie.
Per questo pubblico le righe sovrastanti e metto anche la foto della costruzione della "conigliera", che risale a circa un anno fa. A giorni conto di disporre di un resoconto ed anche di poter mostrare qualche immagine della situazione attuale.

domenica 4 marzo 2007

QUEST’OGGI VI FACCIO LA PREDICA !


Lo confesso: sono stato io a volere questo blog. Ora, dopo pochi mesi, sono il primo deluso.
Vi dirò il perché in quanto solo attraverso voi che state leggendo passa la chiave di volta del sistema. Infatti se ci sarete, leggerete e scriverete, quindi solo attraverso una partecipazione davvero attiva questo potentissimo sistema di comunicazione e di interazione risponderà allo scopo per cui è stato messo in opera.
Il blog deve essere una “finestra” spalancata sulla missione di Mambasa. Deve consentire il dialogo facile ed intenso allo stesso tempo tra i suoi attori presenti laggiù in mezzo alla foresta del Congo e le tante persone che, da diverse parti d’Italia e del mondo, provano a dare una mano al progetto.


Ieri ho fatto un accenno a padre Silvano su quanto volevo scrivere ed ora sto scrivendo. Ecco pronta la risposta di fronte al mio dubbio sull’utilità di questo esperimento: “Sappi però che sono diversi che lo guardano...anche se sono ancora timidi. Abbi la pazienza del contadino. “
Infatti il blog funzionerebbe e anche molto bene, come avviene per tutti i milioni di blog che ci sono sulla rete. L’unica condizione essenziale e che tutti gli utenti lo usino davvero e lo impieghino di routine.


Riflettiamo un attimo: i nostri amici della missione di Mambasa sono finalmente nella condizione felice di avere, attraverso la società SIGNIS di Roma, la fortuna un collegamento alla grande rete di Internet, via satellite, 24 ore al giorno. Non certo era così ai miei tempi, negli anni ’70, quando la posta giungeva alla missione e poteva essere spedita, se tutto procedeva senza intoppi, una volta ogni 15 giorni.
Oggi saprete che la posta per la Missione di Mambasa viene spedita in Uganda, a Kampala. Li giace fino a che qualcuno la preleva! Per altre comunicazioni c’è il telefono satellitare, dotato anche di fax. Saprete anche che chiacchierare con questo aggeggio costa cifre da capogiro. Il suo uso si giustifica soltanto per comunicazioni molto urgenti e, aggiungerei io, anche nel caso che siano piuttosto brevi.
Via Internet c’è la possibilità di parlarsi usando uno dei tanti programmi che consentono la chat (MSN, ICQ, Google Talk), oppure anche quei siti che consentono di telefonare con il sistema VoIP come i vari Voipbuster, Voipcheap, Voipstunt o il più famoso Skype. Questi ultimi consentono anche di chiamare su telefono fisso, tantissimi paesi del mondo gratis e tutti gli altri con tariffe molto basse, talvolta irrisorie. Ebbene perché non consentire tutto questo da e verso Mambasa? Diciamo poi che la connessione alla grande rete di Internet nasce dall’esigenza di dotare la scuola di uno strumento oramai essenziale con cui tutti gli allievi debbono imparare e gestire le loro conoscenze e sviluppare i loro studi. La scuola della missione cattolica di Mambasa ha sempre formato degli ottimi studenti, molto più preparati di tanti altri studenti africani, e questa “finestra” diviene essenziale proprio per la completezza della loro preparazione.
Aggiungo infine che ho pensato a questo blog (quando ne parlavo a P.Silvano, senza che ancora lui avesse una idea precisa di cosa si andava a fare!) come una sorta di bacheca per la comunicazione.

Facciamo un solo esempio: la scuola ha bisogno di carta da disegno, oppure di fogli millimetrati: bene si mette un avviso in “bacheca”. Così oltre il solerte Padre Angelo, al Segretariato Missioni di Milano, la notizia passa anche a Giuseppe in quel di Schio. Loro, come sempre, si attivano. Però pubblicando la richiesta on line sul blog anche un qualsiasi altro amico che lo legge ne è informato e magari…per dirla con il linguaggio degli uomini di fede ecco che diamo un po’ di chanches in più alla Divina Provvidenza. Magari la notizia della ricerca in corso arriva alle orecchie di un benefattore che si fa lui carico se non di fornire direttamente la carta richiesta, magari di trovare “l’argent” che serve alla bisogna.
In senso contrario per il flusso della “bacheca” immaginiamo quanto sarebbe più facile far vedere a Padre Silvano o a Padre Nerio la foto di un nipotino, piuttosto che stamparla e spedirla via posta o mandarla in esclusiva nella casella e-mail di uno di loro.


Basta per ora con le parole: proverò nei giorni prossimi a gestire qualche esempio pratico scrivendo qualche singolo post per stimolare e suggerire.

Vorrei così cercare di captare l’umore ed i desideri anche di chi legge e scrive.

Ricordate però, cari lettori di questo blog che se non scrivete nessun commento, sarà impossibile ai nostri missionari, a padre Silvano verificare che ha tanti amici che gli sono vicini e che tutti, anche con poco, possono dargli una mano!

sabato 3 marzo 2007

due parole sul Presidente Kabila




Rispondendo dopo l’inoltro di alcuni articoli che mi erano giunti dal Congo, dalla nostra cara Suor Giovanna, Padre Silvano mi ha spedito una mail. Ecco quanto scrive in conclusione:
Se giudichi opportuno, metti queste mie riflessioni sul blog, sperando di scrivere cose più belle fra poco.” Cosa faccio quindi? Pubblico il testo integrale dalla mail, esattamente come avrebbe fatto Padre Silvano se invece di “perdere tempo” scrivendo soltanto a me (grazie mille comunque!) avesse scritto a voi tutti, cari, pazienti e ignoti lettori di questo blog.


carissimo,
i due articoli che mi hai mandato non mi hanno sorpreso più di tanto. Non ho mai nascosto le mie preferenze per Kabila, ma questo non mi rende cieco. Quindi, ti ripeto, ho accolto serenamente e senza troppa meraviglia i due documenti riguardanti l'attuale Presidente della nostra Repubblica.
Perché?
Proprio in questi giorni, in diverse occasioni, ho fatto in pubblico e interiormente questa constatazione e questa domanda:" Dove è finito l'entusiasmo della gente per le elezioni dei deputati e del Presidente? Cosa c'è di diverso da prima delle elezioni?"
Sono passati oltre 3 mesi e non si vede proprio nulla...
All'inizio di febbraio è stata comunicata la formazione del governo, con a capo Antoine Gizenga. Ci siamo interessati per conoscere i nomi del ministri... E ci attendevamo subito un fervore, una specie di agitazione, quasi una partenza da Formula Uno o l'irrompere sulla pista erbosa di cavalli da corsa lanciati verso il traguardo...Dopo qualche giorno, silenzio assoluto.
E questo silenzio continua e continuano le cose di prima, esattamente come prima.
Neppure un po' di fantasia nell'inventare nuovi slogans...
Il nostro Capo dice nel suo discorso di investitura:"La ricreazione è finita"...E con questa frase - non può non saperlo - ripete quanto è già stato detto da Mobutu.
Quante volte l'ho risentita in questi giorni, a torto e a traverso...
Ci si riempie la bocca, ma le cose non cambiano.
Anzi la corruzione e il sopruso continuano e crescono.
Mi stupisce la rassegnazione e il fatalismo della gente: nessuno reagisce, nessuno si pone delle domande. Le elezioni sono finite e non se ne parla più.
Certo, c'è una scusante: il Congo è un ammalato cronico, pieno di piaghe da decubito, abulico e senza prospettive se non quella della sopravvivenza...Per anni si è vissuti così, forse per molti è impensabile un altro stile di vita
Io spero ancora...
Almeno qui a Mambasa non si sente più sparare; ma mi sembra un po' poco.
Delusione? Direi proprio di sì...Nutro ancora un po' di speranza : mi auguro che, nel segreto del Palazzo Presidenziale o nel Parlamento, si stia pensando e meditando per trovare una strada di uscita...in favore della gente. Speriamo che arrivino fino a Kinshasa gli echi dell'attesa, della speranza, delle aspettative che la gente aveva al momento delle elezioni e che facciano di tutto per non deluderle. Ho paura che qualcuno aspetti solo il momento buono per sfruttare il malcontento e la delusione.
Aspettiamo quindi ancora un po'...e da buoni credenti mettiamo questo nostro paese nelle Mani del Padre.
Ciao, Gianluigi. Mi dispiace di non essere troppo ottimista questa sera. Forse sono un po' stanco, ma questo non impedisce di distinguere la luce dalle tenebre...E mi sembra che l'atmosfera sia piuttosto sul buio.Ciao e grazie ancora di tutto, soprattutto delle tua presenza e della tua amicizia...