sabato 27 ottobre 2007

Chi può arrivare a Nduye...? (1)


Nota: questo messaggio è stato scritto dal mio confratello p. Gauthier dopo il viaggio a Nduye, il 14 agosto. A questa prima parte, ne seguirà un'altra...

Chi può arrivare a Nduye...?

-Chi può arrivare a Nduye e restare impassibile di fronte alla bellezza prodigiosa della natura?

-Chi può arrivare a Nduye e non essere trasportato dal verde che copre la terra, gli alberi e le colline?

-Chi può arrivare sulla collina sulla quale è collocata la missione e non ammirare la bellezza lussurreggiante della foresta equatoriale e non esclamare che Dio è il più grande stilista e il più grande sarto?

-Chi può arrivare sul pianoro dove è costruita la missione e non essere inebriato da un panorama paradisiaco inaspettato in mezzo alla foresta equatoriale?

-Chi può arrivare a Nduye e non restare stupito di fronte a questo verde panorama che si schiude progressivmente ogni mattino vincendo lentamente la nebbia che copre tutta la foresta e che si richiude ogni sera con un tramonto unico al mondo?

-Chi può arrivare a Nduye e non riconoscere il coraggio eroico e l’intuizione estetica di colui che ha scelto questo posto?

-Chi può arrivare a Nduye e non essere colpito dalla semplicità, dall’ospitalità e dalla allegria dei Pigmei che costituiscono la maggioranza degli abitanti?

-Chi può arrivare a Nduye e dimenticare i ritmi misteriosi della loro musica?

-Chi può arrivare a Nduye e non essere sopreso dalle pietre utilizzate per la costruzione degli edifici, pietre ricavate dai macigni con il fuoco?

-Chi può arrivare a Nduye e non ammirare gli edifici che si ergono diritti e solidi dopo oltre cinquant’anni e che hanno sfidato le guerre, i saccheggi, l’abbandono, l’assenza del pastore e tutte le intemperie?

-Chi può arrivare a Nduye e non raccogliersi in ginochhio davanti alla tomba del suo eroico e fedele costrutture e pastore che riposa in tutta semplicità nella sua chiesa?

-Chi può arrivare a Nduye e non apprezzare quest’opera, testimonianza della forza, del genio e della fede di padre Bernardo Longo e dei suoi collaboratori: suore, catechisti, insegnanti?

-Chi può arrivare a Nduye e rimanere indifferente al racconto del martirio di padre Bernardo, il cui ricordo è ancora vivo nelle parole e nel cuore della sua gente?

-Chi può arrivare a Nduye e non ascoltare gli omaggi di gratitudine che non solo gli
abitanti , ma anche tutti i suoi ex-allievi intonano senza tregua in suo onore?

-Chi può arrivare a Nduye e non essere testimone della nostalgia intessuta di amarezza dei Pigmei che deplorano l’abbandono e la degradazione dell’opera di padre Longo?

-Chi può arrivare a Nduye e restare sordo alle grida di questi amici di padre Longo che sono abbandonati alla loro sorte?

-Chi può arrivare a Nduye e non sentire la voce di padre Longo che sussurra: “Non puoi aiutarmi a restaurare questa opera”.

domenica 14 ottobre 2007

14 ottobre - CURTAROLO (Pd) - NDUYE




Vi domanderete il perché di questo accostamento strano.
Semplice. Avevo saputo, da un mio informatore fedele e tempestivo che oggi, a CURTAROLO (PD) si sarebbe celebrato il Centesimo anniversario della nascita di padre Bernardo Longo.Il padre Longo è nato il 25 agosto 1907...Ma in agosto tutti sono altrove. Non so le ragioni della scelta della data odierna...Vicinanza con la giornata missionaria mondiale? Forse!
Mi è sembrato giusto comunque far partecipi di questa celebrazione anche i cristiani di Nduye, la "sua missione" .
In quella chiesa è sepolto:una sepoltura modesta. Vicino all'altare in cui si conserva il Santissimo e sotto lo sguardo della sua Madonna "Mama wa Mungu"(Madre di Dio).
Là dove lui, ogni mattino, alle 5,15 cominciava la sua giornata con la preghiera.

Sono giunto a Nduye ieri pomeriggio.
Un piccolo gruppo di Pigmei mi aspettava. Fra loro c'era anche il figlio di SAU che era il capo-pigmei al tempo di padre Longo. Gli ho detto che doveva venire alla Messa di oggi con una lancia, con archi e frecce...


Noi, in attesa dell'arrivo dei cristiani, questa mattina abbiamo ornato,in maniera molto semplice, la tomba del padre. Con i fiori abbiamo scritto: "Merci" (grazie!).
La Messa doveva cominciare alle 8,30...Ma dato il numero di coloro che volevano confessarsi abbiamo incominciato la processione di ingresso alle 9...,alla stessa ora in cui cominciava a Curtarolo la solenne celebrazione di anniversario.
Lo Messa è durata oltre due ore...La gente non ha difficoltà a improvvisare, soprattutto quando si tratta di canti e danze.
All'offertorio i pigmei hanno deposto sulla tomba di padre Longo la lancia, gli archi e le frecce...Non sono invece riusciti a trovare un'antilope: non erano stati avvertiti a tempo...
Il Vangelo di oggi - la guarigione dei dieci lebbrosi - si prestava bene alla circostanza. Dei dieci lebbrosi guariti, uno solo ritorna da Gesù per ringraziarlo.


Padre Gauthier, il diacono che è giunto da poco fra noi ha insistito sul dovere e la bellezza del ringraziamento. Io ho poi continuato ricordando padre Longo e invitando tutti a ringraziare il Signore di averci dato padre Bernardo e a ringraziare anche padre Bernardo per il suo amore per la gente di Nduye, per i giovani per i Pigmei. Ho ricordato anche che padre Bernardo aveva un motto, che ripeteva spesso: "Sala na kazi" (preghiera e lavoro!). Ci siamo interrogati se siamo stati fedeli alla sua consegna!
Poi, nella preghiera dei fedeli, gli abbiamo chiesto di aiutarci a far rifiorire la sua missione.
Alla fine della Messa alcuni pigmei hanno voluto una foto accanto alla tomba del loro Padre...
E i cristiani hanno voluto una foto di gruppo come prova della loro comunione con i fratelli di Curtarolo.

Penso che padre Longo era imbarazzato: Curtarolo o Nduye?!

Mentre noi, padre Gauthier ed io, nel pomeriggio riprendevamo, in moto, la strada del ritorno, un po' dappertutto, vicino alla missione risuonavano i canti dei pigmei.
Certamente, in quel momento, padre Longo li stava ad ascoltare e la sua preferenza era evidente!

A MAMBASA OVVERO ALL'INFERNO

Da “Testimoni” 31 luglio 2003, n. 14, pag. 25-29


Drammatica testimonianza di p. Silvano Ruaro

A MAMBASA OVVERO ALL’INFERNO

Questa testimonianza sugli avvenimenti nell’est della repubblica democratica del Congo non hanno bisogno di commenti. Basta leggerla. È lo squarcio di una realtà in cui vivono oggi molti missionari in balia di bande armate senza legge, dove ogni momento può succedere di tutto

Sono stato più volte invitato a narrare un momento particolare della mia vita di missionario in Congo, dove mi trovo dal 1970. Ogni volta che mi accingevo a farlo, dilazionavo la stesura, un po' frenato dalla pigrizia, dall'urgenza di altri impegni immediati, ma anche incerto sull'utilità di questo racconto, e soprattutto sulla mia capacità di accostarmi a questi avvenimenti col dovuto distacco e con rispetto religioso perché sono stato testimone delle umiliazioni, delle sofferenze di uomini... di Cristo.

Ho sempre avuto paura di lasciarmi prendere dal rischio di narrare dei fatti tragici e orribili e di dimenticare che tutto questo aveva un nome, un volto; che le lacrime, i pianti e le grida di dolore uscivano dagli occhi e dal cuore di bambini, di donne e di uomini che non avevano fatto nulla di male. E confesso che anch'io più volte incredulo di fronte a tanta sofferenza mi sono lasciato sfuggire questa preghiera‑lamento: "Dio mio, perché ci hai abbandonati?”. Ma più forte è stata la sensazione, la certezza di essere accompagnato da Qualcuno su questa Via Crucis di migliaia di persone. Incapace di portare la mia croce, dovevo a mia volta alleviare quella degli altri, aiutarli a vivere e a mantenere la speranza.

QUEL VENERDÌ

11 OTTOBRE

"Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze perché dimori in me la potenza di Cristo... Quando sono debole è allora che sono forte". Era cominciata con queste parole la giornata di venerdì 11 ottobre 2002. Uscivo malconcio da una settimana di forte malaria, ma non c'era tempo per la convalescenza. Due grosse realtà esigevano soluzioni rapide a problemi che non potevano aspettare oltre. Da un mese avevamo incominciato le scuole all'istituto "Bernardo Longo" con 650 alunni, suddivisi in varie sezioni: meccanica, falegnameria, taglio e cucito, scuola media, liceo scientifico e magistrale. L'orario, per carenza di personale insegnante e di locali, era ancora provvisorio e incompleto. Bisognava essere presenti, ascoltare, decidere. E inoltre la presenza alla missione di Mambasa di oltre 2.600 rifugiati era sorgente di una preoccupazione che diventava ogni giorno più angosciante. Questi erano arrivati da Bunia e dintorni a partire dal 20 agosto. Erano fuggiti agli orrori delle lotte tribali che avevano raggiunto il parossismo all'inizio di agosto. Erano scappati senza nulla, a volte testimoni del massacro dei loro cari, altre volte ignari della loro sorte. Traumatizzati e terrorizzati, avevano bisogno di tutto e sentivano il bisogno di parlarne con noi. Quei racconti, fatti senza passione ed emozione, come avessero perso la sensibilità al dolore, erano difficili da ascoltare. Di solito ascoltavo due o tre persone, poi facevo chiudere la porta e, restato solo, crollavo. Poi riprendevo... Ma non era sufficiente questa presenza: "Date voi stessi a loro qualcosa da mangiare". La missione, fin dall'inizio, aveva udito ed accolto questo appello: bisognava quindi prevedere, organizzare, comperare, distribuire. Il miracolo della moltiplicazione dei pani si rinnovava ogni giorno sotto i nostri occhi e fra le nostre mani... vuote. Dall'Italia giungevano parole che facevano eco a quelle di Cristo: "Salvate la gente!", e con le parole arrivavano gli aiuti. Ma bisognava continuamente essere vigilanti: mantenere una riserva di cibo, prevederne altro e andare a prelevare il denaro a Kampala (Uganda). Per cui, 1'11 ottobre, nonostante la debolezza, ho incontrato i professori per i problemi della scuola e poi sono andato a fare visita all’amministratore di Mambasa. A costui riferivo sulla situazione dei rifugiati e gli esponevo la mia inquietudine perché le scorte di cibo e medicinali erano scarse e gli facevo presente che era ormai indispensabile un mio viaggio a Kampala. Ma c'era un inquietante interrogativo: qual era l'evoluzione della battaglia che si combatteva a circa 20 Km di Mambasa fra le bande di Mbusa Nyamwisi che occupavano Mambasa da tempo e quelle di Jean‑Pierre Bemba che avanzavano sulla strada di Kisangani e che erano conosciute per la loro violenza e barbarie. Mentre parlavamo, infatti, sentivamo il rumore di colpi di armi pesanti: mortai, granate. La risposta dell'amministratore fu di una stupefacente sicurezza e fiducia: “la situazione è sotto controllo; stiamo ricacciando il nemico; lei può partire tranquillamente per Kampala”.

“PADRE… È FINITA”

Il sereno dura poco... Verso le ore 14,00 l'amministratore arriva alla missione: "Padre, è finita! Tra poco saranno qui!". Il suo volto diceva molto di più delle sue parole. Nel frattempo cominciava la fuga: dei soldati in direzione di Beni, e della gente verso i campi nella foresta. Noi restiamo alla missione, stranamente vuota di bambini e tristemente silenziosa. Alla sera chiamiamo le suore a condividere con noi l'adorazione eucaristica, i vespri e la cena. "Considerate perfetta letizia, miei fratelli quando subite ogni sorta di prove sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza e la pazienza completi l'opera sua in voi perché siate perfetti e integri senza mancare di nulla" .(Gc 1, 2‑4). Queste parole della lettura breve dei Vespri ci scuotono e ci prevengono. Ma sul momento non capiamo. La fuga della gente continua tutta la notte e quando al mattino ci ritroviamo per la preghiera dopo una notte insonne sentiamo che sta avvicinandosi l'uragano. Gli ultimi soldati di Mbusa se ne vanno, passando davanti alla missione, disinvolti, con il kalasnhikosv a tracolla e qualcuno addirittura masticando canna da zucchero. Alle 8 comincia il crepitio delle armi da fuoco: il fragore si fa sempre più forte e si avvicina alla missione. All'inizio di questo uragano di fuoco e di grida siamo tutti assieme, padri e suore, poi siamo separati. Don Fabio Varutti, un sacerdote di Udine, resta alla missione, raggiunto poco dopo dal nostro confratello studente Serge. Padre Nerio Broccardo e le suore si inoltrano nella foresta e trovano rifugio nel Campo di un catechista, mentre il sottoscritto, p. Silvano, fa la spola tra la Casa e il cimitero, dove si erano rifugiate diverse persone…

Nel tentativo di ritornare verso casa, sono bloccato dagli spari e dalle grida dei soldati a circa 50 metri dalla missione e mi nascondo tra i cespugli, al limite del prato dove pascolano mucche, pecore e asini. Don Fabio e fratel Serge sono i primi a cadere nelle mani dei "miliziani", che sfondano porte e finestre, distruggono e sparano all’impazzata. Fratel Serve è picchiato selvaggiamente; Don Fabio viene gettato a terra, terrorizzato. Dal mio nascondiglio sento e vedo tutto: saccheggiano i magazzini e i containers, sparano alle moto, incapaci di farle partire…

Quando finiranno? Le ore passano: il frastuono non accenna a diminuire; sento qualche grida di uomini, donne e bambini; assisto da poche decine di metri all'abbattimento selvaggio di 14 mucche, prese a bersaglio in un gioco macabro, cercando di appiattirmi al suolo il più possibile, dato che sono nella traiettoria dei tiri... Recito il rosario... Sono inquieto. soprattutto per don Fabio e fr. Serge. Mi decido ad uscire allo scoperto. Momento terribile di paura e di umiliazione. Accolto da una fitta sparatoria in aria, sono proiettato per terra e perquisito; mi sento incapace di reagire, ma almeno sono con i miei confratelli.

Assistiamo impassibili allo scempio che si compie nella nostra casa e non opponiamo resistenza. Del resto non servirebbe a nulla, anzi sarebbe molto pericolosa. Siamo sdraiati per terra per non essere bersaglio delle pallottole che fischiano in continuazione e in tutti i sensi. Un ragazzo‑soldato probabilmente ha pietà di noi e, rimasto solo con noi, ci dice: "Padri, non reagite e non opponetevi a nessuna delle nostre richieste, perché, per quattro giorni, abbiamo il permesso di fare quanto vogliamo: rubare, violentare, uccidere e nessuno ci chiederà conto...".

UN GRUPPO DI SOLDATI

DOPO L'ALTRO

A un gruppo di soldati ne succede un altro: tutti prendono, sparano in aria, ci minacciano e ci deridono. Sembra che il tempo si sia fermato. Finalmente si fa sera. I soldati svaniscono nel buio, ma gli scoppi continuano. Ci rifugiamo in chiesa, vicino all'altare, per passare la notte. Sentiamo rumori di passi, voci, spari, ma nessuno entra. Anche l'alba si fa attendere. Finalmente usciamo: è domenica; sarà una domenica di passione. La gente comincia ad arrivare alla missione: traumatizzata, priva di tutto. Ognuno con la sua storia di sofferenza, di spoliazione e di umiliazioni. E i racconti. come tante piccole croci, si accumulano e fanno un tutt'uno. Seduti per terra, gli uni accanto agli altri, condividiamo la sofferenza c questo ci dà forza e dignità.

Ai soldati, che probabilmente vengono per beffarsi di noi, dico: "Per favore, lasciateci soli: quando una famiglia è in lutto, si rispetta quel luogo. La risposta è di un sarcasmo impensabile e rivelatore: "Di che cosa ti lamenti? Altrove abbiamo fatto anche peggio e nessuno si è lamentato". Solo nel pomeriggio ci decidiamo per la santa messa. Nel frattempo erano usciti dalla foresta anche padre Nerio Broccardo e le suore.

Lunedì, 14 ottobre: alle Lodi un altro appello: «Ricordatevi che i vostri padri furono messi alla prova per vedere se davvero temevano il loro Dio. Ricordate come fu tentato il nostro padre Abramo e come proprio attraverso la prova di molte tribolazioni egli divenne l’amico di Dio. Così pure Isacco, così Giacobbe, così Mosè e tutti quelli che piacquero a Dio furono provati con molte tribolazioni e si mantennero fedeli» (Gdt 8,26...). Ma nello stesso tempo una certezza ci veniva dal salmo 72 nell'Ufficio delle Letture: «...ma io sono con te sempre: tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai con tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria».

La missione era di nuovo il luogo di incontro, la casa di tutti: cattolici, protestanti e musulmani, accomunati dalla stessa tragedia, erano diventati fratelli. Verso le 9,00 arriva il colonnello, capo delle operazioni. Viene per cercare di spiegare il perché della guerra. Lo ascolto assente, stranamente calmo e senza mai interromperlo. Non so quale reazione si attendesse da me: senz'altro la mia l'ha sorpreso e spiazzato. «Colonnello, ci sono solo due alternative: o lei mi fa sparire subito, o io farò sapere a tutti gli orrori che avete commesso sabato scorso. Tacerò solo se lei mi dirà anche una sola ragione che giustifichi quanto avete fatto alla gente. E le chiedo di rimandare a casa tutte le ragazze che avete rapito».

Le posizioni erano chiare e senza ambiguità. I1 resto è stato relativamente facile: bastava mantenere la stessa linea. E mi sono accorto che la gente ci contava. Non potevo deluderla. Il 21 ottobre ci era offerta la possibilità di partire a Kisangani con l'elicottero dell'ONU. Padre Nerio ha accettato di partire, per non mettere in difficoltà il superiore provinciale, padre Dino Ruaro. Infatti, per vincere le reticenze delle autorità dell'ONU, padre Dino aveva detto che noi eravamo in pericolo e che era urgente evacuarci. Bisognava dunque che almeno uno partisse. La nostra permanenza a Mambasa è stata molto apprezzata dalla gente: "adesso siamo certi che Dio non ci ha abbandonati".

UN VOLO

A KAMPALA

La situazione sanitaria e alimentare si faceva sempre più drammatica. Mambasa era isolata. Restava aperta la via del... cielo. Ebbi un'ispirazione che sembrava follia. Con un pastore protestante mi sono recato dal colonnello e gli ho chiesto se potevo entrare in comunicazione via radio con un pilota della MAF (una piccola compagnia aerea protestante) per un eventuale volo a Kampala per acquistare viveri e medicinali. Evidentemente mi sono dovuto subire dei rimproveri e delle minacce, ma il permesso di partire era chiaro e senza condizioni. Il 24 ottobre volavo a Kampala. Una mezz'ora dopo il decollo i soldati di Mbusa attaccavano Mambasa. Collera da parte del colonnello, convinto che io avessi organizzato il contrattacco e che avessi fatto uscire le notizie trasmesse dalla radio vaticana. Tentativo da parte sua di far rientrare l'aereo a Mambasa.

A Kampala ho contattato l'ambasciata d'Italia e un osservatore dell'ONU che mi ha aiutato a redigere un comunicato trasmesso poi a Kofi Annan e a tutte le ambasciate. Nel frattempo a Mambasa i soldati di Bemba erano cacciati e si installavano di muovo quelli di Mbusa.

La vita riprendeva, padre Nerio ritornava da Kisangani e io da Kampala. Iniziava la fase di aiuto ai rifugiati e alla popolazione di Mambasa che aveva perso tutto. Grazie alla generosità di tanti amici, potevamo essere vicini a tutti con cibo, medicinali, vestiario e generi di prima necessità. Sembrava un sogno: si riaprivano le scuole; i ragazzi tornavano a giocare; il lavoro diventava normale. Ma era solo una piccola schiarita. Verso il 20 novembre da più parti mi giungevano messaggi allarmanti: «Padre Silvano; allontanati da Mambasa; i soldati di Bemba stanno ritornando e le loro intenzioni nei tuoi confronti sono senza equivoci». Era una decisione difficile da prendere. Sabato 23 novembre, lascio Mambasa. Il motivo ufficiale è la visita a una comunità cristiana a 35 Km per la festa di Cristo Re. Resto nel villaggio tre giorni e il 26 rientro a Mambasa; incontro gli operai e i professori e poi riparto. Si respira già ansia e incertezza. Il 28 sera, panico e terrore: stanno arrivando! Alle 23, in una notte buia e senza luna, tutta la gente fugge dalla propria casa e si ammassa sulla strada verso il sud, direzione Beni. Inizia così il lungo esodo di oltre 28.000 persone, ignare del perché, attonite e rassegnate, con una sola idea fissa: fuggire e sottrarsi agli orrori di genocidio.

Un fiume, l'Ituri, a 40 Km da Mambasa, sarà il nuovo confine. A sinistra del fiume, una folla enorme di rifugiati privi di tutto: a destra una regione vuota, in mano ai soldati di Bemba, stupiti di non trovare nessuno. Avevano già dimenticato gli orrori del 12 ottobre. E noi? Non c'era né il tempo né la voglia di pensare. Una sola idea: "Salvare la gente, queste decine di migliaia di persone, essere con loro". La gente si era fermata nei vari villaggi: Teturi, Lwemba, Byakato, Alima, Malutu, Mangina... Per fortuna era iniziata la stagione secca, senza pioggia.

Dal nostro campo base a Mangina e a Beni coordinavamo il tutto: comperare, distribuire e ascoltare. Tante persone, soprattutto mamme, necessitavano di un contatto personale. Con pudore esponevano la loro situazione: trovare un rifugio presso un parente, la vicinanza del parto, bambini denutriti, perché non avevano latte. La nostra vita non aveva più orari: ci lasciavamo guidare dagli avvenimenti. Momenti di tensione estrema e di paura si alternavano con momenti di serenità e fiducia. Continuare, non mollare, nonostante tutto. Ai primi di dicembre, un altro viaggio a Kampala. Ritiro i soldi presso i padri comboniani e il 5 dicembre contatto il nunzio apostolico. mons. Pierre Christophe. Un incontro decisivo! In un colloquio di due ore gli espongo gli orrori di questa guerra, la sofferenza disumana della nostra gente, l'assurdità e lo scandalo del silenzio e dell'indifferenza che avvolgono questi crimini. Il nunzio è scosso e organizza subito un incontro a tre con l'ambasciatore del Belgio, Karl Peters. E non sarà l'unico passo.

M'ACCORGO

DI NON FARCELA PIÙ

Ritorno a Beni, ma mi accorgo di non farcela più: paura, ma soprattutto la constatazione di impotenza di fronte a questa tragedia. Telefono a una mia sorella: «Tra pochi giorni sarò in Italia!». Ma non mi decido a partire: resto ancora un giorno, poi un altro: «Signore, dammi la forza anche per quest'oggi!». A Beni sono ospite di una comunità di suore, Soeurs Orantes de l'Assomption: 22 suore e postulanti, tutte africane. Un po' alla volta divento il loro cappellano e il loro fratello. Messa e recita di Lodi al mattino; poi loro iniziano l'adorazione eucaristica fino a sera. Io "scendo dal monte", loro pregano per me e per la mia gente; ritornerò a sera per la recita dei vespri e per la cena. Una volta alla settimana fanno l'adorazione notturna: quando posso mi unisco a loro. Un po' alla volta riprendo coraggio: ci si organizza meglio. Scopriamo giovani generosi, che si mettono a disposizione per questa operazione di emergenza: ci aiutano negli acquisti, nel trasporto e nella distribuzione. Così abbiamo più tempo per l'ascolto. «I poveri vi evangelizzeranno». Comincio a capire..., mamme, bambini, vecchi ripetono all'infinito ma sempre con tanta trasparenza e un candore commovente: «Grazie Padre, Mungu akubariki (che Dio ti benedica)». Sento che non è solo un augurio... è una conferma. Grazie anche a voi che mi siete diventati fratelli, sorelle e mamme.

Pensavamo di aver sofferto, pianto abbastanza... Il 18 dicembre i soldati di Bemba attraversano il fiume Ituri. Di nuovo la fuga verso il sud, verso Mangina. Nella calca alcuni bambini sono schiacciati. Si deposita il loro cadavere ai fianchi della strada e si continua. Il 19, da Magina, chiamo per telefono la MISNA e l’ambasciatore d'Italia a Kampala: «Fate qualcosa per salvare queste persone!». E stato inteso questo grido? Penso di sì! Mentre noi siamo alle prese con i problemi inerenti alla sopravvivenza di questi dimenticati che ormai sono più di 40.000, le ambasciate, la nunziatura, le Nazioni Unite fanno pressioni sui “signori della guerra”, e probabilmente sotto la minaccia di una denuncia presso il tribunale internazionale, li obbligano a firmare un cessate il fuoco, il 30 dicembre… Passiamo il periodo natalizio nella paura e nell’angoscia. I soldati di Bemba sono ormai alle porte di Beni. Tre sacerdoti di Wamba sono loro ostaggi: sono testimoni di atti orribili; i corpi dei nemici uccisi vengono mutilati; i loro organi genitali esibiti come trofei; e sono costretti ad ascoltare questo poco incoraggiante ritornello: "A Beni ci sfogheremo e ognuno di noi avrà almeno due moto".

Non c'è tempo per pensare: occorre agire in una frenesia interrotta solo dalla notte e dai momenti di preghiera in quella oasi che è la comunità delle suore. Un'antifona. (è il 20 dicembre, alle Lodi): "Perseverate, e vedrete su di voi l'aiuto del Signore", attira la mia attenzione, mi aggrappo ad essa e me la ripeto spesso e continuo a sperare. Il 31 dicembre la gente fugge verso Beni: è il panico: si sente il rombo dei mortai. La gente e anche i soldati non sanno ancora che è stata firmata la tregua. Lo sapranno solo nel pomeriggio. Finalmente!

UN BARLUME DI SPERANZA

Con il nuovo anno riappare lentamente un barlume di speranza che diventa man mano più luminoso. I soldati si ritirano, le Nazioni Unite inviano una commissione d'inchiesta, diverse ONG arrivano in aiuto.

La gente esita a ritornare... Ma l'invio a Mambasa di quattro osservatori militari dell'ONU è un passo importante sulla strada della normalità. Invitiamo dunque la gente a ritornare e li aiutiamo mettendo a loro disposizione dei camions e dando loro dei viveri per il ritorno. In febbraio ritorniamo anche noi alla missione anche se i soldati si sono ritirati solo a 30 km a nord di Mambasa. Ma è importante e urgente dare speranza, reagire alla paura e alla rassegnazione. I1 10 marzo riapriamo le scuole. È un'altra sfida alla Provvidenza: chi pagherà i 307 maestri e professori e darà il necessario ai 9.500 alunni!?. "Date voi stessi a loro qualcosa da mangiare!...".

Riprendiamo i lavori di costruzione dei due edifici della scuola rimasti interrotti durante la guerra e la fuga...

Ci avviciniamo alla Pasqua. La Quaresima e la Passione sono state più lunghe del solito. Adesso guardiamo indietro e rileggiamo tutta la storia: ci appare più chiara, certezze e domande senza risposte sono più nitide...

Una certezza: "Ma io sono sempre con te: tu mi hai preso per la mano destra. Mi guiderai con il tuo consiglio e poi mi accoglierai nella tua gloria".

Una domanda senza risposta: una sera, a cena una suora mi chiese: «Padre, perché dobbiamo soffrire così? Che cosa abbiamo fatto di male?».

Questa frase la risento spesso come un tormento nel mio cervello e nel mio cuore, mentre rivedo tante scene di miseria, di pianto e rivedo quella fiumana di persone che se ne va, con lo sguardo vuoto, senza indignazione, cadaveri ambulanti e ripenso a quella mamma violentata da 18 soldati in presenza di suo marito e ripenso a José, una bambina della mia scuola, di 13 anni, violentata da 5 uomini: «Gridavo, piangevo... e loro mi picchiavano sul viso, sulle gambe e urlavano: smettila di piangere! Cosa abbiamo fatto di male?». Signore, non dimenticare il tuo popolo!

Silvano Ruaro, dehoniano


venerdì 12 ottobre 2007

un altro...12 ottobre! - l'Istituto Albino M...a Mayuano


Avete letto il post precedente. Spero non siate rimasti bloccati.
La memoria non deve essere solo un doloroso rivivere un tragico e orribile avvenimemto. Al contrario: deve essere come una energia compressa che spinge a trovare rimedi al male, affinche questi fatti non si ripetano più. Deve generare segni concreti di speranza.
Questa sera ve ne presento uno.
Nella tarda mattinata, assieme al nuovo venuto, il diacono P. Gauthier, sono andato a Mayuano per vedere l'evoluzione dei lavori dell' Istituto Albino M... e per controllare la presenza degli alunni.
Perché questo nome? Semplice. Un signore ha voluto ricordare in questo modo la memoria di suo padre, che era maestro.
Avevo da anni, l'idea di costruire una scuola media a Mayuano, un grosso villaggio a 33 km da Mambasa. Questo signore mi ha convinto - con argomenti concreti, e non solo a parole - di andare più avanti. Dopo un primo edificio - quello centrale - ne sono sorti altri due che ospiteranno una scuola agraria-forestale.
I corsi sono già cominciati.
Oggi l'ho potuto constatare.
Oltre alle classi delle due medie, ha cominciato a funzionare il primo anno di agraria.
L'edificio non è completamente finito: mancano le porte e le finestre, il colore...Ma vi assicuro che è questione di giorni...Fra poco, sul blog, rivedrete questa foto, pronta...per l'esposizione!
Il mio confratello, p. Gauthier, era entusiasta. Dato che conosce benissimo l'inglese perché ha fatto gli studi di Teologia in Sud Africa mi ha detto, mentre ritornavamo a casa: "Il sabato sono libero; verrò ogni settimana per insegnare l'inglese. Lo faccio soprattutto per incoraggiare questi ragazzi"...Bello vero?

E bello il gesto di chi ha voluto ricordare così suo padre...
Grazie, F... e L..."

Quante generazioni di giovani, grazie a questa scuola, realizzeranno il "sogno" di Isaia:
"Forgeranno le loro spade in vomeri,
le loro lance, in falci;

un popolo non alzerà più la spada
contro un altro popolo;
non si eserciteranno più nell'arte della guerra".


Pensavo, al ritorno, al 12 ottobre 2002!

"Mai più Signore, un 12 ottobre come quello...ma tanti come quello di oggi"

12 ottobre 2002 - 12 0ttobre 2007: 5 anni fà!

Non potrò mai dimenticare quel 12 ottobre 2002!
Mambasa cade nelle mani dei soldati de l'ALC (Armée de libération du Congo!).Uno scempio. Tutti hanno perduto tutto.!
Il responsabile di una nostra rivista, TESTIMONI, in seguito, mi aveva chiesto di scrivere un articolo sugli avvenimenti di quei giorni. Dopo averlo scritto, non trovavo un titolo adatto. Lui stesso, ha scelto questo: "A Mambasa,ovvero all'inferno". (Vedere Testimoni, n°14, del 31 luglio 2003).
Non posso pensare a quel giorno senza una stretta al cuore... Oggi non ne ho parlato con nessuno...Non volevo riaprire la ferita soprattutto nel cuore di chi con me ha vissuto quel giorno.
Ma ho ripensato spesso alla frase con cui chiudevo quell'articolo: " Signore, non dimenticare il tuo popolo!"
E questa sera rinnovo quella preghiera...

martedì 9 ottobre 2007

Un saluto da padre Dino!

Carissimi, sono ormai due settimane che sono entrato a fare parte della comunità di Mambasa; è giusto quindi che anch’io dia un segno di vita. Era il 25 settembre il giorno in cui arrivavamo qui, P. Nerio e io. Nerio, per raccogliere le sue ultime cose e per lasciarmi le consegne della Parrocchia, e io per incominciare un nuovo servizio e una nuova vita qui a Mambasa. Sono contento di trovarmi qui. Per quanto tempo? Non lo so, e neanche mi importa molto saperlo. Resterò qui fin quando il Signore vorrà. All’inizio c’è spontaneamente un po’ di apprensione, legata all’ambiente nuovo, alle incognite dell’inserimento, alla lingua che conosco ancora male e che, ad una certa età soprattutto, sarà più difficile assimilare; apprensione legata anche ai limiti personali che sento di avere. Ma nella mia vita missionaria ho avuto talmente tante prove della vicinaza del Signore e del suo aiuto, che non posso dubitare di lui e della sua assistenza. Per cui debbo dire che comincio questa nuova tappa della mia vita con ottimismo e con fiducia. Questa fiducia diventa più facile se guardo alla comunità nella quale mi trovo; siamo in quattro: p. Silvano, P. Gianpaolo Amuli, il diacono Gauthier e io.
Dopo questi pochi giorni che ci troviamo assieme, credo proprio che il Buon Dio ci ha fatto il regalo di una buona comunità; è un augurio, una preghiera e al tempo stesso un impegno: che possiamo realizzare fra noi una vera fraternità, fatta di fede, di passione per la nostra gente, di coraggio, di volontà di collaborare, per meglio aiutare la nostra gente. Spero che anche quelli fra voi, che vorranno venire qui a Mambasa, si troveranno a loro agio e contenti di condividere per qualche tempo la nostra vita e il nostro lavoro. Domani farò la mia prima uscita sulla strada che conduce in direzione di Bunia. P. Nerio, rientrando dal suo ultimo viaggio mi diceva:”Ho lavorato per sedici anni su queste strade impossibili. Adesso che le hanno messe a posto e che si viaggia veloci, me ne vado, lasciando il posto a te. Che fortuna che hai”! Personalmente non mi faccio illusioni. Le piogge torrenziali e l’incuria totale non tarderanno a riconsegnarci delle strade che ci faranno soffrire e piangere. Ne vedremo ancora di belle…
Un grazie sincero per la vostra vicinanza e la vostra amicizia
Ciao.

P. Dino

sabato 6 ottobre 2007

Gianluca e Irene raccontano

Sono le 5:10 del mattino di Domenica 30 Settembre 2007,
Silvano, perdonami se ho trovato solo ora il tempo e la giusta ispirazione per raccontare delle settimane passate a Mambasa, in tua compagnia e degli amici del Club des Professeurs Pour l’Initiation de la Jeunesse au Develppement…
Vorrei ringraziarti per l’ospitalità con cui hai accolto me ed Irene…conservo in un cassetto con la scritta “speciale” quei giorni da te.
Dunque…
Io, Irene e Filippo siamo arrivati a Mambasa (a proposito Mupe…si sta bene a Mbsa, anche se preferisco Nduye! ;) la notte fra il 10 e l’11 agosto 2007, attraversando da sud a nord la sterminata foresta equatoriale dell’alto bacino del fiume Congo.
La pioggia, assolutamente imprevista per la stagione, avrebbe battezzato il nostro soggiorno con la “Settimana dell’Acqua”…
Con noi avevamo portato mappe satellitari della città, strumentazione per analizzare l’acqua che beve la gente del posto, pennarelli e cartelloni per lavorare insieme ai Comitati di quartiere, una pompa nuova di zecca per l'Ospedale pubblico comperata appositamente a Kampala.
Non entro nei dettagli di quel che è successo in quel mese, e credo non riuscirò mai ad esprimere la completezza di quei giorni, la sensazione di essere al posto giusto, in armonia con il luogo e la sua gente…quando provo a raccontare agli amici, spesso mi fermo o interrompo la storia, poiché le mie parole non riescono ad esprimere quello che ho vissuto laggiù...
…a Mambasa bisogna andarci e bisogna tornare per rinnovare il significato a quello che facciamo qui, a casa nostra, e per esprimere la nostra solidarietà e supporto concreto nei confronti di gente che non ha avuto grandi possibilità di scelta come invece accade a noi “musungu”.
Insieme agli amici del C.P.I.J.D. abbiamo lavorato intensamente, ma soprattutto abbiamo costruito un ponte di scambio…esperienza, cultura, visioni, bisogni e altro ancora.
Un viaggio straordinario nel 'Cuore di tenebra' dell'Africa nera. Un ricordo unico, che porterò con me a lungo…
Un abbraccio e a presto, Gianluca


Gianluca e Irene, la coppia di ingegneri senza frontiere (www.isf.polimi.it) durante una visita a Nduye, un paradiso disperso nella foresta equatoriale…

Irene, insieme ai professori Aimé e Sagesse, durante la raccolta dati necessaria alla caratterizzazione della qualità dell’acqua.


Foto aerea di Mambasa. In rosso, la mappa dei punti d’acqua censiti durante la campagna dell’agosto 2007, utilizzati dalla popolazione a scopo potabile.


Aimé Mandro, professore e segretario del C.P.I.J.D., durante la giornata partecipativa con i Comitati dell’acqua di Mambasa.
Aimé, presenta i risultati tecnico scientifici conseguiti nella campagna di raccolta dati.
Secondo i professori del C.P.I.J.D. fra i risultati più importanti del lavoro svolto in collaborazione con gli ingegneri senza frontiere di milano, è stato l’acquisizione di un metodo scientifico e l’applicazione di tecniche partecipative.

Giornata partecipativa. Kasereka (a sinistra), professore e Presidente del C.P.I.J.D., dopo aver invitato la popolazione a scegliere i propri rappresentanti dei Comitati dell’Acqua, stabilisce con loro il piano di azioni e i temi da affrontare nel villaggio:
• Sensibilizzare la popolazione ad un utilizzo corretto dell’acqua
• Stabilire/Concordare buone pratiche di gestione dei punti d’acqua
• Stabilire/Concordare la tariffa equa per garantire la sostenibilità economica delle sorgenti ricostruite

Il Prof. Baptiste, esulta per aver visto la pompa dell’Ospedale Pubblico di nuovo in funzione dopo oltre 15 anni di inattività. La gente del quartiere, e i malati dell’ospedale, tutti intorno esultano per la buona notizia.

E’ anche l’ultimo giorno di Irene e Gianluca a Mambasa. Un giorno di grande soddisfazione, e allo stesso tempo durissimo…Da lì a poco, un ragazzo verrà portato con urgenza in ospedale a causa di un incidente grave avvenuto in un cantiere poco distante. La sensazione di impotenza ci piomba addosso come un macigno…in Italia, il ragazzo se la sarebbe cavata con una semplice operazione, qui, no. ..

lunedì 1 ottobre 2007

Comincia un nuovo giorno...


Un jour nouveau commence...
Scusate la stravaganza, ma queste parole, prese da un inno del breviario, sono risuonate nella mia mente tutta la giornata di oggi.
1 ottobre 2007: Padre Nerio Broccardo parte per Kiraho; padre Dino Ruaro comincia il suo nuovo apostolato qui a Mambasa come parroco.
Ieri,domenica 30 settembre, c'è stato lo scambio del "testimone": durante la celebrazione eucaristica nelle due chiese di Mambasa e in occasione di un pranzo con i rsponsabili della parrocchia.
Il clima? Né euforico, né triste. Tutti erano consci dell'importanza dell'avvenimento: per cui c'era un'aria solenne,densa.
E tanta, tanta gente alla missione: per ringraziare padre Nerio e per dire a padre Dino che non doveva aver paura: non sarà solo.
Questa mattina, ancora tanta gente per salutare padre Nerio che non riusciva a nascondere il suo imbarazzo: andava da un posto all'altro, salutava distrattamente, aveva fretta di partire...
Una foto per la cronaca...I due parroci: colui che parte e colui che arriva!
Ricordi, rimpianti forse, paura ed ansia...
Ma in mezzo a loro, in alto...c'è una presenza: silenziosa,discreta, materna!
"Sotto il tuo presidio,o Vergine Santa..."

Non abbiate paura!