venerdì 6 agosto 2010

UN "SAFARI" CON I FIOCCHI

La parrocchia di Nduye è stata riaffidata dal Vescovo di Wamba, Monsignor Kataka Gennaro, a noi Dehoniani, tre anni fà. Per tutto questo tempo siamo rimasti nell'aspettativa che un altro confratello venisse destinato alla comunità di Mambasa: questo ci avrebbe permesso di occuparci in modo soddisfacente anche della parrocchia di Nduye. Tre anni sono passati, ma il confratello desiderato e sollecitato non è ancora apparso all'orizzonte. Don Alessandro, prete diocesano di Wamba e studente in costruzioni, durante i periodi di vacanze ci dava una mano e visitava i villaggi di Nduye. Lo scorso mese di settembre però ha terminato gli studi ed ha ricevuto il suo impegno pastorale in diocesi; evidentemente non ci può più aiutare. Mi sono allora deciso di diventare anche ... parroco di Nduye.

Ho lasciato Mambasa lunedì della scorsa settimana, 26 luglio, alle 7h30. All’inizio la strada è soddisfacente: dopo un'ora e quarantacinque minuti eccomi già arrivato a Nduye. Il tempo per mangiare una paipai, bere un bicchiere d'acqua e prendere il catechista Pasquale, assieme al quale ho deciso di fare il mio "safari", e via sulla strada verso Dingbo-Mungbere. Il percorso diventa subito impegnativo, obbligando a continue e spesso improvvise deviazioni, per evitare buche, pozzanghere, massi, solchi pieni di fango. Ma la "festa" comincia dopo dieci km, a Biassa. Da qui fino a Dingbo, sessantacinque km di purgatorio, con relative pene; senza nessuno sconto. Sono sotto continua tensione; la minima distrazione ci fà cozzare contro un ostacolo o ci proietta dentro una pozzanghera d'acqua o di melma. Le braccia sono indolenzite, il viso sferzato da rami e erbacce. Quante volte siamo caduti, non saprei dire; per fortuna sempre senza gravi conseguenze, ad eccezione di qualche bruciatura ai pantaloni plastificati, antipioggia (e a volte anche a quello che ci sta sotto).
Ad Alambi ci fermiamo per respirare un po’. Sono un po’ preoccupato: se dopo solo venti km mi sento già così malconcio e assetato, come farò ad arrivare fino alla fine? La moglie del capo ci serve una gran caraffa di acqua "purissima": sapeste quant'era buona quell’acqua e quanto me la sono gustata...Dopo di ché, di nuovo in sella: Njaro, Bongupandamai, Malembi…una strada che non termina mai e sulla quale si avanza molto lentamente, anche perché nel frattempo ha cominciato a piovere. Questo rende la pista ancora più insidiosa. Alle 16h30 eccoci a Dingbo. Un sollievo enorme! Il catechista David e la sua Regina, donna semplice e deliziosa, ci fanno festa. Si trova la forza di ridere, fare le battute, scambiare qualche notizia. Prendo anche il tempo di lavare ed mettere olio alla catena e al motore. Ed eccomi di nuovo in viaggio. Sono le 17h00. Il buon Pasquale rimane a Dingbo, mentre io mi dirigo da solo verso Mungbere. 58 km, senza gravi difficoltà, ma ostacolati comunque dall’oscurità progressiva e dalla pioggia che riprende quasi subito.
Alle 20h30, arrivo alla…terra promessa: Mungbere. Padre Gian Maria e confratelli offrono un’accoglienza più che cordiale e fraterna: una buona cena e una simpatica partita di chiacchiere preparano corpo e spirito al riposo notturno. L’indomani è tutto per il recupero e la visita alle opere parrocchiali. Osservo con ammirazione soprattutto il magnifico lavoro fatto all’ospedale diretto da padre Gian Maria Corbetta, la scuola elementare privata (prima e seconda con 120 bambini/e), i nuovi locali dell’internato per Pigmei, che fratel Giancarlo sta costruendo con lamiere ed assi Il cemento infatti è riservato per le costruzioni scolastiche, visto il suo prezzo proibitivo: costo di un sacco di 50 kg consegnato a Mungbere, 35 $. Questi confratelli sono ammirevoli. E il ritorno? Beh! Debbo dire che la notte prima di ripartire da Dingbo non ho dormito molto bene, disturbato com’ero dall’inquietudine, per non dire dagli incubi. Poi invece è andato tutto bene…come all’andata…con qualche caduta in meno e con arresti in vari villaggi per incontrare i cristiani e celebrare l’Eucarestia.
Questa mattina sono andato in officina per vedere la Honda 250, che avevo consegnato ieri per manutenzione e controlli vari. Il nostro Wakunga, capo-meccanico mi dice: “Padre, come hai fatto a ritornare a Mambasa? La bobina è bruciata, a causa dell’acqua entrata dentro, non c’è più corrente: impossibile accendere il motore”. Mi è venuto in mente il viaggio di ritorno e un tuffo fatto nel pieno di una pozzanghera. Cercando di sollevare la moto per buona parte sommersa nell’acqua, dicevo al mio catechista: “Pasquale, ho paura che il nostro viaggio in moto termina qui”.
E invece no: il mio angelo custode ci ha fatto arrivare fino a casa. Evidentemente aveva deciso che non era il momento di andare in ferie. Signore, grazie!

P. Dino

3 commenti:

Gianluigi ha detto...

Il primo che ha visto questo post dovrebbe essere stato il mio parroco, Don Peppe, al quale l'ho segnalato mentre era in pubblicazione!
W don Peppe, benefattore della missione.

Anonimo ha detto...

Veramente ........ammirabile......questa testimonianza.....mi fai sentire veramente piccolo pensando ai problemi della mia nuova parrocchia....grazie per la forza che mi dai.....carissimo Silvano
Un abbraccio forte
don Peppe

Anonimo ha detto...

Sono commosso, e non trovo il coraggio di confrontare l'impegno (eroico) dei missionari con le difficoltà del "nostro" mondo, che impallidiscono!
Una preghiera anche per l'Angelo Custode, che lì in missione deve fare gli straordinari.
emanuele