È un paese così ricco di risorse naturali che gli esperti l’hanno definito «uno scandalo geologico», ricorda l’assessore al Comune di Roma Jean Léonard Touadi, originario di quella zona dell’Africa. Sotto il suolo della Repubblica democratica del Congo c’è tutto, dai diamanti al coltan, materiale indispensabile per l’industria elettronica. Tesori che hanno scatenato una lunga guerra civile, provocando quasi 4 milioni di morti e infinite violenze. Circa 35 mila bambini sono stati strappati alle famiglie dai gruppi armati, per farne combattenti o schiavi. Per il 40 per cento sono ragazzine, spesso stuprate, molte diventate madri a 12, 13 anni. Loro, come altri 6 milioni di preadolescenti congolesi, non sono mai andate a scuola.

Ancor oggi il paese vive una difficile pace e a 3,5 milioni di bambini tra i 6 e gli 11 anni l’istruzione è negata, perché sono troppo poveri. «Ma solo con l’istruzione si può rompere il circolo vizioso di guerra e povertà» ricorda Carlotta Sami, direttrice dei programmi di Save the children Italia, organizzazione a difesa dell’infanzia. «In classe i bambini ricominciano a fidarsi degli adulti, imparano elementi fondamentali per la loro sopravvivenza: dall’igiene personale a come si cucina il cibo». Per questo Save the children ha lanciato insieme all’Enel cuore (la onlus del gruppo Enel che sostiene progetti a favore di bambini, anziani e disabili) una sfida: portare in classe entro il 2010 78.750 piccoli nelle tre province del Kivu, a est del Congo, ancora teatro di scontri; far sì che almeno il 30 per cento dei bambini che si iscrivono a scuola arrivi al termine del ciclo primario e che 262.500 ragazzi in 1.000 scuole accedano a un più alto livello di educazione.

L’obiettivo più ambizioso è, però, convincere il governo di Kinshasa a investire di più nella scuola: «Per ogni alunno il Congo spende 4 dollari all’anno, contro i 5 mila di un paese industrializzato» continua Sami. «Noi interveniamo formando gli insegnanti, costruendo scuole, aiutando economicamente le famiglie che non possono permettersi di pagare le rette». (F.R.)

tratto da PANORAMA n°30 del 26/7/2007