martedì 16 settembre 2008

Marta ha tolto gli occhiali da sole


Mupe(*) (padre Silvano) chiama,
io rispondo.
Mi ha chiesto di scrivere qualcosa sull’esperienza appena conclusa, ed eccomi qui.

Innanzitutto una piccolissima premessa, necessaria però.
Sono Marta Bravi, lavoro (ci provo...) nel mondo meraviglioso, seppur complesso, della Cooperazione Internazionale da ormai 8 anni.
Ho iniziato in Africa, in Burkina Faso, dove ho scoperto che questo era il mio mestiere, oltre che una passione infinita.
Ho conosciuto Gianluca di Pasquale di ISF (Ingegneri Senza Frontiera), durante un viaggio di monitoraggio in Perù organizzato da una ONG (Fratelli dell’Uomo) partner di entrambi, lo scorso aprile.
Durante il viaggio abbiamo avuto occasione di scambiarci opinioni varie: lui mi ha raccontato del “Progetto Mambasa”, mi ha chiesto una mano. Non gli ci è voluto molto per convincermi; questo per spiegare brevemente come mai il 30 luglio,verso sera, sono arrivata a Mambasa.


Ho un ricordo un po’ confuso dell’arrivo alla Missione.
Era già buio, siamo scesi dal Land Cruiser e dopo un istante eravamo circondati da un mare di persone che ci aiutavano a scaricare l’auto, dove avevamo stivato davvero di tutto; tutto l’occorrente (o quasi)per lavorare durante la nostra permanenza.
Mi mancava tanto l’Africa.
Negli ultimi 3 anni,salvo sporadicissimi passaggi in questo Continente meraviglioso,mi sono dedicata di più al Centro America, in Honduras, Paese che amo, ma che non è mai riuscito a catturarmi del tutto.
L’Africa (è folle parlare di un continente sterminato come fosse una realtà unica, lo so, ma in quello che ti lascia dentro,e che porterai sempre con te, "AFRICA" per me è davvero una realtà unica) ti colpisce, ti stravolge e ti cambia la vita.
Il cielo, gli occhi dei bambini, i sorrisi delle persone, l’odore della terra, l’arte di arrangiarsi.
Quel famoso “mal d’Africa” di cui si parla spesso e che tutti ci siamo portati a casa, credo.

Ricordo nettamente le espressioni estasiate dei miei tre compagni di avventura: Nino, Gigi e Silvia, per i quali era la prima volta, ma sono certa non sia stata l’ultima!
Ricordo Nino che mi guardava felice e mi diceva: “I bambini! Ma quanti sono i bambini!”

I bambini...il FUTURO di un Paese.
Ricordo con una fitta allo stomaco le processioni di famiglie distrutte dal dolore che portavano a braccia, bare di 50 cm di lunghezza.
I bambini...troppi non arrivano all’età per andare a scuola; uccisi da malattie per cui nel 2008 è assurdo dover morire.
I bambini...piccoli uomini e piccole donne che imparano a sopravvivere ancor prima che a camminare; che imparano cosa sia la responsabilità, portando in braccio i loro fratelli più piccoli; che imparano l’indipendenza e che non piangono quasi mai.
I bambini...che costruiscono giocattoli meravigliosi con un pezzo di legno e un tappo; che quando vedono un pallone impazziscono di gioia, perché sono comunque bambini.
E sono davvero tantissimi, e sono splendidi, con i loro occhi pieni di curiosità, mentre guardano i muzungu (i bianchi) che fanno cose strane.
Quegli occhi pieni di speranza, per un futuro incerto.
I bambini...a costo di apparire retorica, o scontata, loro sono il valore aggiunto di questo mestiere.

Il Progetto di ISF si sviluppa trasversalmente su tematiche differenti, io ho dato una mano a sviluppare la parte “acqua”: perforazione e costruzione di 5 pozzi profondi dotati di pompa a mano; formazione dei “Comités de gestion des points d'eau" (Comitati di gestione dei pozzi) sia da un punto di vista “economico/gestionale” che da un punto di vista di educazione all’igiene personale, domestica ed ambientale.
Sono state settimane piuttosto convulse, tra mattinate in classe con i Comitati, pomeriggi a scegliere i punti per i pozzi, e poi a sperare che la trivella costruita funzionasse a dovere e senza intoppi, serate a preparare il materiale da distribuire alla lezione del giorno successivo.
Per poi ritrovarci tutti e cinque, dopo le 21 (quando “finalmente” si spegneva il generatore...) a scambiarci le opinioni della giornata, a ridere e scherzare su ciò che era accaduto e su eventuali(!)imprevisti incorsi.
Perché l’imprevisto africano è sempre dietro l’angolo, può travestirsi da moto che non parte, da una vite che si rompe, o più facilmente, a Mambasa, da una chiave che non si trova!
Destreggiarsi in tutto questo è forse la cosa più difficile, per chi come noi, è abituato alla frenesia.
Noi ce l’abbiamo messa tutta, e qualche risultato a casa lo abbiamo portato; soprattutto abbiamo messo in moto (spero)qualche cosa che ora andrà da sè.

Per me è stata un’esperienza incredibile per la forza delle emozioni che mi ha trasmesso.
Sono felice, felice di aver conosciuto Mupe, seppur le occasioni di confronto siano state poche, per mancanza di tempo oggettiva.
Ma guardandolo lavorare, infaticabile ed energico (non è una sviolinata,veramente) ho capito che Mambasa, assieme a lui, sta camminando nella direzione giusta.

Sono partita il 14 agosto con i lucciconi agli occhi, malamente camuffati dietro un paio di occhiali da sole.
Per me è sempre così, chi lavora con me lo sa e mi prende in giro da anni...
Mambasa però me la porto nel cuore, e spero davvero tanto di tornarci, un giorno o l’altro, magari con un nuovo piccolo Progetto, magari questa volta della mia Associazione.
Mambasa ti rimane attaccata addosso,come la terra rossa che non riuscirai più a lavare via dai vestiti, come gli occhi dei bambini, sempre loro, che ti fissano, e che non dimenticherò mai.

Ricordo che pochi minuti prima di partire mandai un messaggio a un amico e collega: "come sempre, non sono pronta per partire. E sono sempre più convinta di fare il lavoro più bello del mondo”.
Ecco, è così che la penso.
Ricordo anche che Mupe, quando mi vide piagnucolosa, abbracciandomi mi disse: “oh,guarda che noi non scappiamo, e qui la porta è sempre aperta”.
Grazie!

Grazie a tutti,indistintamente.
In particolare a chi con me è partito e ha condiviso tutto questo.
Ma anche a tutti gli attori, muzungu e no, di questo magnifico capitolo.

Marta


(*) Mupe: abbreviazione-deformazione di "Mon père" (padre): nome usato per chiamare il missionario

4 commenti:

Silvano Ruaro ha detto...

grazie anche a te, Marta!
Mupe

Gianluigi ha detto...

Grazie Marta. Una testimonianza sincera e toccante.
Fammi essere un po' cattivo, come il solito. Gli altri che erano con te sanno scrivere?
A presto

Anonimo ha detto...

Brava Marta!
Ci vuole coraggio esprimere i sentimenti più profondi e tu l'hai fatto in modo egregio.
Aksanti sana.
Cornelia

Anonimo ha detto...

Ciao a tutti,
ringrazio Marta e il Mupe per quello che hanno condiviso sul blog. Ero con loro e confesso che al rientro in Italia avrei voluto scrivere qualcosa, ma mi crederete se vi dico che non mi viene bene. Siamo ingegneri, signori!.. e se finora solo Marta (l'unica non-ing. tra di noi) ha messo nero su bianco, deve essere perché noi teste quadrate siamo davvero una pessima razza!

Va bè. :-)

A tutti quelli che c'erano, al Mupe e a tutti i lettori di questo fantastico diario, lascio un link ad un piccolo fotoblog che ripercorre il nostro soggiorno in ordine cronologico. Sono le mie foto più belle che, ben inteso, non sono certamente le più significative. Per descrivere quest'ultime -parlo per me- devo, a distanza di un mese, riordinare ancora i pensieri e le parole.

Un abbraccio grande.

Duel au soleil à Mambasa