mercoledì 1 luglio 2009

Ivi è perfetta letizia: cronaca di un week-end

Ho pensato spesso a queste parole di san Francesco nel mio ritorno da Nduye domenica e lunedì.

Un viaggio da non dimenticare.


Normalmente era il turno di padre Gauthier. Poi all’ultimo momento ha desistito per un impegno qui in parrocchia. Mi sono offerto di sostituirlo. Il viaggio di andata non ha avuto problemi particolari. Un viaggio di routine: 3 ore e mezza di moto per i 60 km. Le buche erano quasi asciutte, quindi si vedevano bene e si poteva entrarci senza troppi patemi d’animo. Arrivo a Nduye alle 18,20. Appena in tempo per immaginare quello che doveva essere stato un tramonto stupendo.



Domenica mattina, il cielo è coperto. I cristiani reagiscono male al buio, all’umidità: molti arrivano in ritardo. Ma poi la Messa si anima.

“Non temere! Soltanto abbi fede! Talita kum…”


I cristiani seguono attenti e nessuno guarda l’orologio.

La Messa finisce alle 10,45.

Una visita ai lavori di refezione delle scuole. Si vedono i risultati, positivi.


Poi l’ascolto di qualche lamentela, di qualche sofferenza e lutto, di qualche richiesta (i più chiedono sementi: riso, fagioli, soja). Purtroppo posso fare poco soprattutto per il riso. Le nostre scorte sono finite.


Il cuoco prepara un po' di riso in fretta. Tutti noi guardiamo il cielo. Il catechista mi dice:


“ Mupe, la pioggia ha un debole per te”!


Mi auguro che questa volta si sbagli.


Partiamo alle 12,30. Passiamo il punto strategico situato a 15 km, Aluta dove c’è una buca di almeno 3 metri.

Comincia un diluvio. Alle prime capanne ci fermiamo, ma siamo giù inzuppati. Aspettiamo un’ora. La pioggia diminuisce, ma non cessa del tutto. Sono le 14,30. Riprendiamo il viaggio, sperando che la pioggia sia “locale”. Facciamo circa 500 metri. La strada è completamente allagata. Il ragazzo-pilota entra a caso – non poteva fare diversamente – nella pozzanghera. Sento l’acqua fino alla vita. La moto è scomparsa sotto acqua. Si spegne. Emerge solo il manubrio. Ci resta solo di continuare fino ad uscire dalla pozzanghera, spingendo la moto e di andare nel prossimo villaggio. Ci mettiamo sotto una tettoia. La gente ci compatisce, ma non può esserci di nessun aiuto. Il ragazzo smonta, rimonta, pulisce, lima. Il carburatore fa i capricci. Credo che il ragazzo l'abbia smontato e rimontato una trentina di volte.La pioggia ha ripreso. Nonostante questo, la gente deve eseguire le sue danze tradizionali perché oggi espongono al pubblico una ragazza che è rimasta chiusa in casa, immobile per 6 mesi. (Cerimonia della Elima). Mi fanno pena quelle bambine obbligate a danzare, mezze nude, sotto una pioggia battente. Per fortuna il buon senso esiste ancora e dopo un poi tutti si ritirano.

Alle 8 di sera, la moto riparte. Ci mettiamo in strada. Ma dopo cento metri dico al ragazzo di rientrare: la strada è troppo scivolosa, i fari deboli e già si profilano davanti a noi delle buche piene d’acqua di cui è difficile calcolare la profondità. Sono ancora un po'...traumatizzato dalla esperienza precedente.


Gli uomini escono dalle capanne e vengono ad accoglierci. Non oso chiedere nulla. Mi accontenterei di un po’ di fuoco e di una sedia. Ma un uomo insiste e mi cede la sua casa (sic!) dicendomi però che è piena di topi.


C’è un materasso e una specie di lenzuolo. Mi dice che non ha nessuna coperta. Mi stendo sul letto come sono, bagnato fradicio, sperando che la notte sia…breve. Il papà aveva ragione. Comincia la danza dei topi: è stata una sofferenza e un’angoscia tutta la notte. Per fortuna avevo una pila ben carica e ad ogni rumore l’accendevo. Per un po’, i miei compagni di camera se se andavano. Verso le 21 la pioggia è cessata e allora i danzatori si sono vendicati. Fino a mezzanotte un crepitare di tamburi e canti. Il ritmo era fantastico e a volte il suono secco e mordente dei tamburi mi faceva pensare ai fuochi di artificio. In fondo non mi disturbavano perché proprio non sarei riuscito a dormire, anzi mi auguravo che quelle danze non finissero più fino all’alba. Invece a mezza notte è calato un silenzio totale. Solo in lontananza grida o gemiti attutiti di qualche animale notturno. Il frusciare dei topi sulle foglie del tetto e la processione dentro la stanza però non sono mai cessati.

Al mattino, alle 6, partiamo. Mi metto proprio nelle mani Sue e della Madonna. I vicini di casa (?) vengono a salutarci e si scusano di non aver niente da darci da mangiare. Sinceramente non ci avevo pensato che l’ultimo pasto, un po’ di riso, l’avevamo a mangiato a Nduye,il giorno prima, a mezzogiorno.


Avanziamo lentamente, sempre con la paura di impiantarci in un'altra “fossa delle Marianne!”


Un brivido: passando a cavallo di due buche, la moto scivola e ci troviamo noi due e la moto, distesi dentro una di esse piena d’acqua. Prendiamo anche questo con filosofia e nonostante il fango e la fatica riusciamo a mettere in equilibrio la moto, che riparte.


Mancava la ciliegina sulla torta. A 20 km da Mambasa un insetto nero, grosso il doppio di un calabrone (lisungu) mi punge sul labbro superiore. Non riesco a trattenere un grido di dolore; sento la guancia sinistra gonfiarsi. Meno male che non mi ha colpito sull’occhio!

Arrivo a Mambasa con la faccia sfigurata. Ma siamo a casa.

C’è poco tempo da perdere. Dato che domani, 30 giugno, è l'Anniversario dell’Indipendenza bisogna pagare gli operai, i professori, i giornalieri. Forse questo aiuta a dimenticare. Mi consola il pensare che questa avventura è toccata a me solo e non quando ero con Michele, con padre Onorio, con don Giovanni, e tanto meno con Franco Cazzola!

Oggi sono andato, per la Messa, a 15 km sulla strada di Kisangani. Un piacere viaggiare a 60 all’ora con la Feroza; e più facile conservare la mente concentrata sul Mistero e sulla Parola di Dio, quando non c’è l’incubo del ritorno

Nel pomeriggio, pranzo di fine d’anno con i professori. Un bel clima cordiale che permette di scambiare opinioni, di fare serenamente delle osservazioni e di guardare avanti con determinazione.





Verso sera vado a Manjombo, dove un pittore africano ha fatto un affresco su san Francesco. A parte lo zoccolo…il resto mi sembra riuscito. Il ricordo di san Francesco mi richiama alla mente le sue parole: “ivi è perfetta letizia”.



In fondo, anche questa avventura, è perfetta letizia!

A proposito: in Italia il medico e qualche amico mi hanno detto: "non dimenticare che hai 70 anni! Spesso non ci penso!

foto: tramonto a Nduye del 27.06.2009

Scuola dei Pigmei, ricavata dal dormitorio delle ragazze (anni 73!)

Buca...Pallido esemplare di quella in cui siamo caduti...

Affresco nella chiesa di san Francesco a Manjombo


5 commenti:

Anonimo ha detto...

Siamo strabiliati da tanta resistenza fisica e psichica...ma quando si tratta del nostro padre Silvano nulla più stupisce : ed è davvero perfetta letizia.Grazie carissimo per tutto il coraggio e la fede che trasmetti anche a noi .Un forte abbraccio Paolo e Marialuisa

Anonimo ha detto...

Se non ti conoscessi troppo bene, ti direi che sei sempre imprevedibile e coraggioso oltre ogni limite; ma stavolta mi pare che assieme al coraggio ci hai messo anche una buona dose di "incoscienza" per affrontare avventure del genere alla tua balda età... Comunque ti ammiro perché l'incoscienza è ben bilanciata dalla fede e dallo zelo apostolico, altrimenti certe "asinate" (in senso buono)non le faresti e avresti un po' più di cura e attenzione per la tua salute. Ciao dal solito BICOL

Anonimo ha detto...

Carissimo Silvano, sono proprio avventure al limite della resistenza, quelle di cui racconti e che conosco un po' anch'io. Chi te lo fa' fare? si potrebbero chiedere in molti. Ma queste cose le fai perché c'é Lui che spinge dentro. Ma mi auguro con tutto il cuore che questo calvario finisca presto; diversamente sarà impossibile che le nostre suore, che già hanno espresso la loro disponibilità di venire a lavorare con noi a Nduye, possano effettivamente venire a stabilirsi a Nduye. Ti penso tutti i giorni. Ciao, Dino.

Anonimo ha detto...

Silvano ti invidio, vivi un poco la vita missionaria che ho sempre sognato io, invece mi tocca ancora stare a seguire beghe di comunità e problemi di formazione... Il mio desiderio di venire in Congo purtroppo è stato deviato verso il Cameroun. Soa fatta la volontà del Signore. Attento però a non esagerare, gli anni ci sono anche per te. Tanti auguri.

Anonimo ha detto...

Carissimo Silvano, penso che non ti sarà difficile indovinare chi ha scritto il quarto commento alla tua avventura: è il "grande" p.Panteghini Antonio, che sognava il Congo e all'ultimo momento, come sai, è stato deviato al Camerun a tamponare la falla lasciata dalla morte del buon p.Carlo Biasin. Ciao e buona notte e non continuare con le tue... "imprudenze". p.Angelo