sabato 17 marzo 2007

Affinchè il Congo non imiti i cattivi esempi

Qui di seguito riproduciamo integralmente un articolo pubblicato sul Corriere delle Sera due giorni orsono. Sarà senz'altro utile per offrire spunti di riflessione ai nostri amici che vivono e lavorano in Congo da tanti anni!


Il Ghana «libero» compie 50 anni
E spreca tutti i fondi per festeggiare

di Niall Ferguson
Vi siete mai sentiti presi in giro? L'anno scorso l'Agenzia statunitense per lo svilup­po internazionale (USAID) ha elargito aiu­ti alimentari al Ghana per un totale di 22,5 milioni di dollari.

Lunedì scorso questo stesso Paese ha dato il via alle celebrazioni, che secondo i programmi si articoleranno su dodici me­si, per commemorare l'indipendenza dal colonialismo britannico, concessa cinquant'anni fa, il 5 marzo del 1957. La spesa prevista per i festeggiamenti, iniziati con un party durato tutta la notte ad Accra, si aggira intorno ai 20 milioni di dollari.

E lecito chiedersi se questo è un modo ragionevole di spendere 20 milioni di dolla­ri quando il cittadino medio del Ghana guadagna circa 1,33 dollari al giorno. È leci­to chiedersi inoltre che cosa mai avrà da festeggiare il Ghana do­po cinquantanni di «li­bertà».

Non ci illudiamo che la Costa d'oro, com'era conosciuto il Paese pri­ma dell'indipendenza, fosse anticamente una fiorente economia. Il cit­tadino britannico me­dio guadagnava 39 vol­te di più dell'abitante medio della colonia. D'altro canto, la Costa d'Oro era considerata uno dei territori più svi­luppati tra le colonie britanniche in Africa, e per questo motivo fu la prima ad ottenere l'indi­pendenza.

Eppure le conseguen­ze economiche dell'indi­pendenza hanno smen­tito la vecchia accusa della sinistra, cioè che la Gran Bretagna aves­se «sfruttato» le sue co­lonie. Dal 1960 ad oggi, il divario tra la Gran Bretagna e il Ghana è più che raddoppiato: il cittadino britannico me­dio guadagna 92 volte di più del cittadino me­dio del Ghana. Oggi, secondo la Banca Mondiale, gli aiuti umanitari ammontano al 16 percento del prodotto interno lordo del Ghana e coprono addirittura il 73 per­cento della spesa pubblica.

Che cosa non ha funzionato? La rispo­sta è grosso modo la stessa che si darebbe per qualsiasi Paese dell'Africa sub-saharia­na dal 1957 a oggi. Kwame Nkrumah, che portò il Ghana all'indipendenza, era per molti aspetti il politico tipico della prima generazione di leader africani post-coloniali. Educato presso una scuola di missio-nari cattolici e poi in un'università americana (fu respinto dalla University of London per voti insufficienti in matematica e latino), Nkrumah era del tutto incapace di distinguere tra i pregi e i difetti dell'ammi­nistrazione britannica.

Benché piuttosto parsimonioso quando si trattava di istruzione e salute pubblica, l'Ufficio coloniale almeno forniva le basi per la stabilità economica e politica: bilan­ci pareggiati, sviluppo commerciale, una moneta forte, legalità e un apparato stata­le esente dalla corruzione. Nkrumah non ci mise molto a buttare all'aria tutte queste cose.

Se guardate le foto ufficiali della conse­gna del potere nel 1957, la Duchessa del Kent ha un'aria affranta, e il Governatore, Sir Charles Arden-Clarke, una smorfia di scetticismo. La storia purtroppo ha confer­mato quei lontani presentimenti.

Appena salito al potere, Nkrumah moltiplicò per dieci la spesa pubblica e per cin­que l'apparato statale. Era il caso classico di sistemare gli amici, poiché i membri del partito di Nkrumah, il Convention Peoples' Party, si erano assicurati l'equivalente poli­tico di una vincita al lotto. «Il governo è in mano ai furfanti», si lamentò un funziona­rio britannico nel fare le valigie. Troppo tar­di. Il Ghana non perse tempo a diventare il primo esempio della democrazia africana in azione: un voto per ogni cittadino... una sola volta!

Il governo finì inoltre nelle mani dei cre­duloni. Da molto tempo iscritto al partito comunista, Nkrumah venne facilmente per­suaso dal KGB che la CIA complottava contro di lui e accolse subito le offerte di aiuto che venivano da Mosca. Queste si concretizzarono nell'addestramento forni­to dal KGB alle forze di sicurezza naziona­li, con una rete immensa di informatori pa­gati e oltre un migliaio di «consiglieri» rus­si. All'inizio degli anni Sessanta, le donne del Ghana scendevano in piazza agitando cartelli con su scritto: «RIDATECI GLI IN­GLESI».

E invece toccò all'esercito ghanese rove­sciare Nkrumah nel 1966 (mentre era in vi­sita a Ho Chi Minh ad Hanoi). Lungi dal migliorare la situazione, fu solo il primo di una serie di colpi di Stato, culminati con la sanguinosa presa di potere di Jerry Rawlings, capitano dell'aeronautica, nel 1981. Anche se Rawlings riportò formalmente la democrazia in Ghana nel 1992, ri­mase al potere fino al 2000, quando il suo partito, il National Democratic Congress, fu sconfitto nelle prime elezioni libere del paese.

Oggi ancora molti pensano che tutti i problemi dell'Africa siano un retaggio colo­niale, la colpa degli inglesi cattivi. Queste stesse persone restano aggrappate al­l'idea che tale retaggio si potrà cancellare solo dietro risarcimento, sottoforma di «aiuti umanitari». A di­stanza di cinquant'an­ni, la situazione appare più chiara. Praticamen­te in tutti i casi (unica eccezione il Botswana), le condizioni economi-che delle ex colonie bri­tanniche nell'Africa sub-sahariana sono peg­giorate di molto dopo l'indipendenza rispetto al periodo coloniale. Praticamente in tutti i casi, come ha fatto nota­re William Easterly, del­la New York University, il contributo di miliardi di dollari in aiuti umanitari da parte dell'Occidente non è riuscito a stimolare il tasso di cre­scita economica in que­sti Paesi.

Nel suo libro in corso di stampa, The Bottom Billion, Paul Collier, eco­nomista di Oxford, inda­ga perspicacemente le vere cause del fallimen­to del post-coloniali-smo africano. Identifica quattro trabocchetti in cui sono caduti, dagli anni Cinquanta a oggi, quasi tutti i Paesi sub-sahariani. Alcuni so­no intrappolati dalla loro dipendenza dal­le risorse naturali, come diamanti o petro­lio; altri sono bloccati dalla mancanza di accesso al mare; altri da interminabili guerre civili. Ma il quarto ostacolo riguar­da il Ghana in particolare: un governo incapace. Per illustrare la follia di concedere aiuti a Paesi guidati da governi corrotti, Collier cita una recente indagine che ha seguito le tracce dei fondi concessi dal Mini­stro del Tesoro del Ciad per costruire ospe­dali nelle zone rurali: solo l'1 percento è giunto a destinazione, il resto è stato scremato da una sfilza di funzionari corrotti. Perdonatemi perciò se non me la sento di unirmi ai ghanesi nel loro anno intero di fe­steggiamenti. Non vedo che senso abbia celebrare l'indipendenza, se è un mero eufemismo per dipendenza dagli aiuti umanitari.

• da Corriere della Sera del 15 marzo 2007, pag. 19

© Niall Ferguson, 2007Traduzione di Rita Baldassarre

2 commenti:

Camillo Duque ha detto...

L'articolo del fratello Niall Ferguson che non ho il piacere di conoscere deborda il razzismo e dimostra nostalgia del colonialismo in forma patetica.
Sicuramente per chi conosce ed ha lavorato per l'Africa la figura di Kwame Nkrumh per lo meno merita rispetto, ha portato il Ghana ad essere il primo stato indipendente dell'Africa ed Accra ad essere la capitale del panafricanismo.
Amico Ferguson si vergogni la Gran Bretagna ha sfruttato ed spogliato le sue colonie.
Sicuramente anche la missione di Mambasa ha festeggiato l'indipendenza dei paesi africani e non credo che oggi cerchi di imitare il colonialismo.
Condanno lo spreco dei fondi che l'USAID ha elargito, ma bisogna condannare il sistema di queste donazioni ed interventi nella sovranità di ogni paese africano.
Un abbraccio e buona domenica.
Dr. Camillo Duque

Gianluigi ha detto...

Ringrazio il Dr. Camillo Duque per aver espresso la sua opinione con il commento. Magari lo facessero tutti! E' il sottoscritto che ha scelto e riproposto l'articolo, anche perchè mi sembrava largamente condivisibile.
Non posso quindi essere pienamente d'accordo con il nostro interlocutore. Soprattutto quando dice ad un inglese,essendo certi che Ferguson lo sia, di vergognarsi per il passato del suo paese. Noi italiani, quindi anche Lei dr. Duque, siamo certi di non aver nulla di che vergognarci per quanto fatto dall'Italia? Ricordiamoci che ogni tanto anche il Papa chiede scusa per gli errori del passato, quindi...
La sostanza dell'articolo a mio avviso resta e potrei dirlo, per conoscenze dirette e personali, proprio nel caso del Congo. Così per limitarci al paese delle nostre missioni.