Si chiama Paolino
Paolino Mumbere. Un ragazzotto di una ventina d’anni. Aveva bussato alla mia porta alcune settimane fa’. Chiedeva un tetto e da mangiare. I pochi stracci che aveva addosso era tutto quello che possedeva. Era scappato da Rutchuru, zona calda del Sud-Kivu, martoriata dalla guerra tra le truppe governative e i ribelli di Laurent Nkunda e altri gruppi di Mai-Mai.
La guerra gli aveva tolto ambedue i genitori, vittime dei combattimenti divenuti quotidiani. La sorella era stata strappata di casa da un gruppo di militari; da allora non aveva più avuto notizie di lei. E cosi’ Paolino si era messo in salvo, fuggendo il più lontano possibile da quel luogo diventato maledetto. Ed ora eccomelo li’, davanti; stracciato, stanco, con gli occhi senza luce.
Che fare? Andai dal signor Longo Giuseppe: “Papa’, che cosa possiamo fare per questo povero ragazzo?” Giuseppe pensa un momento. Poi: “Lo prendo in casa mia”, dice con l’aria più naturale di questo mondo. Gli do’ dieci dollari, perché gli dia da mangiare per qualche giorno, in attesa – pensavo - di trovare una sistemazione definitiva.
Incontro papa Giuseppe dopo una settimana: “Allora, come va il nostro Paolino”. “Bene, padre. Lo porto con me al campo ogni giorno e lui si é adattato bene alla nostra casa”. “Bisognera’ pero’ pensare dove sistemarlo in modo stabile”. “Padre, abbiamo deciso di tenerlo con noi. Solo, se mi puoi dare un letto, perché non ne abbiamo abbastanza”.
Da allora Paolino vive con papa’ Giuseppe Longo. Sono venuti tutti e due a trovarmi alcuni giorni fa’: tutti e due contenti e sereni.
E’ vero. Al mondo non ci sono solo ingiustizie e violenze. Fioriscono anche fratellanza e tenerezza.
Una foto appropriata l'avevo nella mia digitale, rimasta danneggiata sotto la moto, sulla strada Wamba - Niania. Grazie e ciao.
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