sabato 31 ottobre 2009

Con un centesimo delle nostre possibilità

Viaggio: noi, una jeep e quel pezzo d'Africa che è Uganda, Congo, Mambasa. Mentre ci lasciamo alle spalle strade dissestate, frammenti di foresta e capanne a ridosso dell'unica via di comunicazione, mi chiedo come sarà la nostra destinazione finale... fantastico su quel che sarà mai per me, Mambasa.

L'arrivo del martedì pomeriggio è emozionato e smanioso, come tutti gli arrivi che si rispettino. Non fatichiamo a stabilire un contatto con la gente, con tutta la gente... non importa che siano i bambini con cui giocheremo a calcio, le donne che passano lungo la missione per tornare a casa o gli operai assunti da p. Silvano. Qui è così naturale scambiarsi saluti con tutti, chiacchierare un po' e dirsi "jambo"! con una forte stretta di mano. Giorno dopo giorno mi sorprendo sempre più nel notare che non c'è nessuna forma di aggressività o violenza da parte delle persone che incontriamo o che vediamo, non c'è uno sguardo cattivo, non c'è un gesto malizioso.
E penso a quel che in Italia mi circonda, ai continui doppi fini che caratterizzano
ormai i rapporti della nostra società, penso a chi per strada guarda dritto davanti a sé
senza interessarsi al mondo che lo circonda, a chi se si sente dire "buongiorno" e non
ti ha mai visto prima, gira la faccia dall'altra parte senza risponderti.
Beh sì, qui a Mambasa però qualche doppio fine c'è quando si incontrano i wazungu (i "bianchi"): chiedere les bons bons o l'argent (caramelle e soldi).

Devo ammettere che è stato arduo i primi giorni riuscire ad accettare che i bambini ci chiedessero soldi o altro per poter giocare a calcio con loro, piuttosto che le caramelle ogni qualvolta entravamo in camera. Ma confesso che è stato poi magnifico scoprire pian piano che iniziavamo ad essere qualcuno di diverso per loro dai soliti wazungu. Eravamo diventati compagni di giochi, quelli che gli insegnavano i motivetti da canticchiare insieme in cerchio, quelli da aspettare ogni po-meriggio, quelli che non li lasciavano soli col pallone da calcio... l'attenzione di questi bambini verso quel che volevamo insegnargli era così alta che ho sognato di potergli insegnare tutto ciò che di bello al mondo c'è senza dover faticare troppo. La maggior parte di loro non conosce il calore di un abbraccio paterno o di una carezza della mamma.
Qui in Africa non è solito vedere per strada coppie che si abbracciano o che si tengono per mano. Non è facile vedere un bambino che gira in spalla al papa. Qui le persone si imbarazzano davanti a forme di affetto evidenti. Quel che mi rattrista è che sarebbe difficile da vedere anche tra le quattro piccole "mura" che fanno da casa a questa gente. Ed è anche per questo che i bimbi cercano da noi affetto e coccole a modo loro.
Noto quindi che qui, per chi non ha un'istruzione superiore alle elementari è impossibile riuscire a concepire una famiglia come la intendiamo noi. Qui le famiglie si formano perché succede "l'incidente" e, come Dio vuole, ci si sposa. Qui non si pensa a proliferare meno anche se non si possono sfamare a dovere tutti i figli, perché è il Signore che li vuole.

Nonostante queste "mancanze" (o meglio differenze sostanziali) sento che questa gente ha quel che noi stiamo perdendo... conserva la parte più naturale e istintiva che l'uomo occidentale sta perdendo, o forse solo scordando.
Quella parte umana che scopre i sorrisi incondizionati, i giochi in strada con i copertoni delle ruote delle biciclette, le danze in cerchio fuori dalla chiesa la domenica mattina dopo la messa. Quella parte che non discrimina chi porta la stessa maglietta strappata per una settimana intera, o chi cammina scalzo su terra e sassi.
Le immagini che caratterizzano una passeggiata per le vie di Mambasa sono le donne che camminano con carichi sul capo, acqua, cibo, legna... sembra che il lavoro più pesante qui sia proprio il "sesso debole" a svolgerlo. Mentre facciamo due passi attorno alla missione ci accorgiamo che a una donna è caduto quel che portava sulla testa: ci fermiamo per aiutarla e con un po' di vergogna scopriamo che addirittura in tre persone fatichiamo a sollevare il carico...
L'uomo porta a casa lo "stipendio" nei casi più fortunati, ma dev'essere continuamente spronato a lavorare, ha bisogno di qualcuno che gli dica come fare, e che gli insegni che dal lavoro e dalla fatica nasce il guadagno, e che l'intraprendenza è fondamentale per poter migliorare le cose.
Seppur scoraggiati da alcuni atteggiamenti refrattari e conservativi, restiamo molto contenti nel vedere che c'è chi ha voglia di imparare come fare bene le cose, chi si interessa alla conoscenza, al lavoro. La sofferenza sui volti di queste persone che hanno visto la guerra è ancora chiara, la paura di un ritorno alle armi è diffusa e la sfiducia verso il futuro è compagna nella vita di tutti i giorni. Qui a Mambasa si vive per oggi... domani, chissà... Ma si può notare come pian piano la situazione volga al meglio, come la gente sa quel che potrebbe avere e si adopera per ottenerlo, come l'istruzione è accessibile a una persona in più ogni giorno...

Non vorrei mai trapiantare la vita occidentale a Mambasa. Non vorrei mai che questi bambini giocassero con la playstation piuttosto che a calcio sui prati. Non vorrei mai scambiare il grigio che noi vediamo in città quando alziamo gli occhi verso l'alto con questo ciclo infinito di nuvole bianche. Non abbatterei un metro di foresta per costruire un grattacielo. Non vorrei che l'asfalto cancellasse quel magnifico odore di terra. Ma sarei felice di sapere che queste persone possono pensare al loro domani, e che possano avere almeno un centesimo delle possibilità di scelta che noi abbiamo.

Elena De Marco

questo è il secondo articolo tratto da :

"UNA SOLA FAMIGLIA", n.110, ottobre 2009

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ringrazio Emanuele e Gianluigi che haano fatto apparire in tempo reale una relazione una breve ma chiara ed essenziale del convegno che si è svolto. Sono sicuro che interesserà molte persone. In particolaree voi della comunità dehoniana di Mambasa Sono stato felicissimo di rivedere Giuseppe, Giando, Anna. Luca e la sua sposa... quanti ricordi belli. La tenacia.le capacità e il coraggio Emanuele e di Gianluigi ci aiutefranno a far maturare il seme getta ieri a Curtarolo.

Silvano, ce l'hai fatta ad andare a tornare da Nduye. Ora siamo in piena stagione delle piogge! Era in questo stesso mese e in questi stessi giorni che ho trascorso nove giorni in una buca-lago tornando da Nia-Nia con il sig. Simako, Mr. Paul, prof Matadi e altri passeggeri. Per fortuna tu mi aveve dato delle "ration de combats" con le quali ho potuto nutrirmi bene. P. Nerio