lunedì 1 novembre 2010

TESTIMONIANZE su Padre BERNARDO LONGO

Padre Bernardo aveva un cuore buono, sempre attento agli altri, sempre pronto ad aiutare.

Amava visitare i poveri e gli ammalati. Partiva anche sotto la pioggia, per non fare aspettare chi aveva bisogno del suo aiuto. Amministrava loro i sacramenti: la confessione, la comunione, l’olio degli infermi. Aiutava volentieri con vestiti o altre piccole cose che potevano alleviare la povertà della sua gente. In cambio non voleva nulla; non accettava che i poveri si privassero del necessario per sdebitarsi nei suoi confronti.

Due volte al mese andava a visitare i prigionieri della Biassa. Questa si trovava ad una decina di km da Nduye e conteneva fino a seicento prigionieri. I detenuti erano divisi in tre categorie. La terza era quella di coloro che erano richiusi in celle di rigore. A dire il vero non si può nemmeno parlare di celle; erano piuttosto degli armadi, profondi 40 cm, nei quali i detenuti erano obbligati a rimanere in piedi ininterrottamente per 15-20 giorni. La punizione estrema era quando questa specie di armadio era imbottita di sale. Capitava spesso che il disgraziato, a contatto continuo con il sale, moriva prima di terminare di espiare la sua pena. P. Bernardo non poteva tollerare cose del genere e si arrabbiava con i responsabili della prigione, riuscendo ad ottenere nei confronti dei prigionieri trattamenti meno inumani. Assieme alla Parola di Dio e all’Eucarestia, padre Bernardo portava loro vestiti, sapone, sale, riso, olio, fagioli. Padre Bernardo era diventato di casa, a Biassa; il suo arrivo era una festa per tutti. Anche il direttore, il signor Caroix, aveva finito per diventare suo amico.

Padre Bernardo si recava ogni tre mesi nel Kivu, dove andava a visitare i suoi orfanelli di Bonyuka e Kyondo. Naturalmente non andava mai a mani vuote, ma aveva sempre dei regali per loro: mandarini, arance, riso, olio, miele della foresta che comperava dai suoi pigmei. La stessa cosa faceva con gli orfanelli di Bunia e di Mongwalu. Nel Kivu e a Bunia comperava rifornimenti che, durante il viaggio di ritorno verso Nduye e fino a Wamba, distribuiva nelle comunità di padri e suore o nelle case molti amici che lo accoglievano a braccia aperte.

Aveva un affetto particolare per i pigmei. Li accoglieva con benevolenza e con gioia. Amava parlare con loro. Cercava di stimolarli al lavoro e allo spirito di iniziativa, comperando da loro i frutti della foresta, che pagava il doppio del prezzo normale. La loro mulumba (tessuto grossolano, che i pigmei ricavavano dalla corteccia di certi alberi) la utilizzava come stracci nell’officina meccanica.

I giovani erano al centro delle sue attenzioni, delle sue preoccupazioni, delle sue fatiche. Per loro aveva creato a Nduye diverse scuole: scuola di meccanica, di falegnameria, di agricoltura, scuola per muratori, scuola di economia domestica per le ragazze.

La formazione che dava era essenzialmente pratica. I corsi teorici erano ridotti al minimo indispensabile. Padre Bernardo passava quasi tutto il suo tempo in officina, in falegnameria o in cantiere. Durante il lavoro, non voleva essere disturbato, o che i ragazzi fossero disturbati, con questioni o discussioni. Queste erano riservate alla sera quando, finite tutte le attività della giornata, riuniva i ragazzi per il rosario e le preghiere della sera. Terminate la preghiere dava la parola ai ragazzi per tutte le domande che volevano porgli, di qualsiasi tipo. Era il momento dello scambio, dell’ascolto, della comunicazione a livello intellettuale, umano e spirituale. Alla fine, verso le 20h30, li mandava a letto con la benedizione del Signore. Le ultime parole? “Sia lodato Gesù Cristo”.

Durante il lavoro era esigentissimo. Non tollerava ritardi, distrazioni, scherzi, leggerezze. Un ragazzo dorme? Lo sveglia in modo rude. Un altro gli passa la chiave sbagliata? Rischia di vedersela rispedita senza preavviso, magari in testa, perché la lezione non sia più dimenticata. Un giorno un ragazzo, Montpellier Tau, (è lui stesso che racconta) viene da Mambasa a Nduye conducendo una macchina. Al suo arrivo padre Bernardo gli si accosta. “Riaccendi il motore… Apri il cofano…”. Il ragazzo estrae una tenaglia che aveva dimenticata al momento di verificare il motore a Mambasa e che era rimasta incagliata fra i tubi degli iniettori. Il padre gli toglie la tenaglia di mano e gliela martella sulla testa: “E’ mai possibile che tu dimentichi una cosa del genere nel motore e poi faccia ancora 60 km senza accorgerti delle sue vibrazioni?” Qualche goccia di sangue appare sulla fronte del ragazzo. Il padre entra in stanza sua e ritorna con alcool e cerotto. A medicazione finita, domanda: “Mont-pellier, sei arrabbiato?” “Padre, è colpa mia. Non dovevo essere così distratto”. “Non farlo più. E ricordati che devi sempre essere attento a come il motore canta”.

Il lavoro era sacro, per lui. Quando cominciava una riparazione, non partiva prima di avere terminato quello che si era prefisso di fare. E i ragazzi dovevano rimanere a suo fianco, per vedere e imparare e capire che il lavoro non è un gioco ma una cosa seria.

Non viaggiava mai da solo; aveva sempre uno stuolo di ragazzi che lo accompagnavano. Dovevano imparare come si guida, come si rimedia ad una rottura con mezzi di fortuna, come si visitano le persone amiche, come si aiutano i poveri. Era la scuola della vita, che metteva al massimo profitto dei suoi ragazzi. All’inizio del viaggio era d’obbligo la recita del rosario, ed anche alla fine. E se il viaggio era lungo, si aveva il diritto ad una terza replica. Il resto del tempo, allegria e canti a pieni polmoni.

Deo, il suo fidatissimo ragazzo meccanico, ricorda volentieri un viaggio che fece assieme a padre Bernardo. Prima di lasciare Nduye vanno assieme a visitare il vecchio catechista Josefu Moke, malato. Saliti sul camion, Deo dice al padre: “Padre, baba Josefu sta molto male”. “Non aver paura. Non morirà subito. Lo rivedrò”. Fu un viaggio molto movimentato: Deo cade, sbalzato a terra dal ramo di una pianta di caffè; il semiasse anteriore si spezza e il camion va a fermarsi contro un termitaio; Deo parte a piedi fino a Wamba in cerca del pezzo di ricambio. Nel frattempo padre Bernardo approfitta di una macchina di passaggio per rientrare a Nduye: doveva vedere baba Josefu. E infatti lo trova ancora in vita. Gli parla, lo confessa, gli dà la comunione e l’unzione dei malati. Adesso è giunto il momento: e baba Josefu spira, fra le braccia del suo padre Bernardo.

Il 3 novembre è un giorno indimenticabile per noi Sacerdoti del Sacro Cuore, per i cristiani di Mambasa e di Nduye, per i familiari e paesani di Curtarolo e per tantissimi amici : è il giorno in cui Padre Bernardo Longo portò fino alle ultime conseguenze il dono della sua vita, offerta a Dio e ai fratelli. In questo giorno celebriamo la sua morte e viviamo in intensissima comunione spirituale con lui.

Per preparare questo giorno di grazia, ho voluto incontrare tre amici: Donat Tsedha, Montpellier Tau e papà Deo che conobbero padre Bernardo e vissero al suo fianco come catechista e come meccanici. Do’ qui una libera e sintetica trascrizione dei loro racconti e ricordi.

P. Dino

2 commenti:

Anonimo ha detto...

E'bello ricordare assieme P.Bernardo Longo.
Un "assieme" che unisce tutti noi, a dispetto delle distanze, delle diverse culture, del colore degli occhi e della pelle.
Tutti uniti, stretti in un abbraccio paterno dal NOSTRO amato Bernardo, nel quale ci ritroviamo tutti, come figli, allievi, apprendisti.
Le immagini che P.Dino ci ha proposto, commoventi e luminose come solo la Verità sà essere, ci spronano a seguire la via, il solco segnato, nella speranza di arrivare, infine, nel villaggio al termine della pista, là dove ci ha preceduto, dove ci aspetta.
Emanuele

Anonimo ha detto...

Grazie P.Dino di aveerci fatto vibrare in cuore il ricordo di P. Bernardo. Oggi, Suo 46° anniversario del Martirio accettato, vissuto per l'amore dei suoi figli congolesi, sentiamoci più che mai uniti ed impegnati a farlo vivere in noi con lo sguardo e la gernerosità immersa nella realtà della Sua Vs. Missione di Nduye/Mambasa.
Con l'auspici che, molti paesani di P.Bernardo leggano, gustino, riflettino su quanto ci hai donato, ti saluto con un bel...arrivederci!!!Lidia